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Fuga dei medici italiani all'estero, Zaia: «L'autonomia potrebbe frenarla»

Il presidente della Regione Veneto vorrebbe conoscere i dettagli di un fenomeno che si lega alla decisione presa di assumere 500 medici non specializzati per gli ospedali veneti

Conoscere i dati sui medici che si formano in Italia e poi decidono di andare a lavorare all'estero. È quello che vorrebbe il presidente della Regione Veneto Luca Zaia, sempre al centro della polemica per la scelta di assumere medici abilitati ma non specializzati per gli ospedali veneti. «Nella situazione attuale il lavoro all'estero rischia di essere un'attrazione per quei medici italiani che sono costretti a entrare sul mercato del lavoro con anni e anni di ritardo rispetto ai colleghi europei - ha dichiarato Zaia - L'assicurare ai nostri cittadini l'assistenza con il necessario e adeguato numero di professionisti è una priorità che ci deve imporre di trovare ogni soluzione possibile affinché i medici che si laureano nelle nostre regioni, se lo desiderano, possano serenamente e convenientemente scegliere un percorso professionale nella loro terra».

Insomma, l'Italia ha un problema: la carenza di medici specializzati negli ospedali. E per Zaia, questo problema è generato da un periodo di formazione troppo lungo rispetto al resto dell'Europa. «Il medico italiano dopo la laurea, l'abilitazione e la scuola di specialità obbligatoria - spiega il presidente della Regione - inizia a lavorare almeno cinque anni dopo i suoi colleghi stranieri. È comprensibile che per alcuni, cresciuti oltretutto nelle generazioni Erasmus, sia estremamente interessante il richiamo di paesi dove ci sono leggi che rendono più rapido e fluido l'accesso alla professione, contratti nazionali che consentono di essere pagati meglio, e tutto ciò per cui noi ci stiamo battendo, scontrandoci invece con una realtà nazionale che ci rende il lavoro più difficile ogni giorno».

Per questo Zaia ha chiesto di conoscere i dati del Veneto sulle fughe dei medici all'estero, per comprendere meglio la situazione e possibilmente porvi rimedio. Anche se per il presidente del Veneto, il rimedio principe resta sempre l'autonomia. «In questi dati ci potrebbe essere la conferma che molti medici sono attratti dalle opportunità garantite dai modelli simili a quello che noi abbiamo già disegnato, chiedendo maggiore autonomia», ha concluso Luca Zaia.

Nel frattempo il Partito Democratico continua a combattere le delibere regionali che permetterebbero l'assunzione di 500 medici laureati e abilitati, però non specializzati. Questi medici dovrebbero seguire un corso teorico e pratico di 92 ore, per poi essere assegnati ai reparti di medicina, geriatria e pronto soccorso degli ospedali del Veneto. «È chiaro che il mini-corso delineato dalla giunta regionale non potrà sostituire un corso di specializzazione della durata di 4-5 anni con migliaia di ore di teoria e pratica - ha detto la consigliera regionale veronese Anna Maria Bigon - Chiediamo di sapere se le università del Veneto sono state interpellate in merito a questa soluzione e con quali modalità verranno selezionati i docenti dei corsi. Con la salute pubblica non si scherza. Zaia ci dica anche quanti di questi medici verranno assegnati agli ospedali veronesi».

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