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Ricercatori in rivolta, rischio blocco per l'Universit

Nel secondo semestre 105 studiosi dell'ateneo non daranno disponibilit per l'insegnamento

"Il ddl di riforma dell'università sarà approvato entro il 13 dicembre", ha affermato stamattina il ministro della Pubblica Istruzione Maria Stella Gelmini. Proprio quello che i ricercatori dell'ateneo di Verona non volevano sentirsi dire. Ed è guerra aperta. Prima di Natale, centocinque studiosi dell'università di Verona ufficializzaranno la loro decisione di non fornire la loro disponibilità per la didattica. Si rifiuteranno di insegnare per tutto il secondo semestre, che avrà inizio a marzo 2011. Corsi a rischio, dunque. E di ogni facoltà. Solo Medicina dovrebbe passarla liscia, poiché i ricercatori di questa facoltà lavorano direttamente negli istituti ospedalieri.

La situazione dovrebbe ulteriormente peggiorare rispetto al primo semestre. Molte facoltà avevano deciso di posticipare alcuni corsi al secondo semestre, sperando che i ricercatori "dissidenti" tornassero ad insegnare. Ma non sarà così. Anzi, la protesta ha aumentato la sua portata. A meno che la riforma non passi al Senato. In quel caso ci sarebbe il "rompete le righe". Un'eventualità improbabile.

Il rettore dell'università Alessandro Mazzucco, comunque, ha sempre assicurato che verranno reclutati tutti i supplenti necessari. E che quindi i corsi non salteranno. Ma il costo non sarà indifferente. Un professore "in sostituzione", per i corsi del dipartimento di scienze matematiche, costa novecento euro ogni otto ore di didattica frontale. Un ricercatore è a costo zero, invece. Considerando che un corso universitario medio dura cinquanta ore, il prezzo da pagare sarà, in media, di 5.625 euro. Se, come sembra, circa un centinaio di corsi rimarranno scoperti, si può ipotizzare un danno economico per l'università di 562.500 euro. Come minimo.

Alberto Mazzucco, assicurando che i soldi per garantire il diritto allo studio degli universitari ci sono, saluta con soddisfazione l'approvazione della Camera della riforma. Secondo la sua opinione, con essa si potrà "recuperare il ruolo dell’università italiana nel promuovere lo sviluppo culturale, scientifico, produttivo del Paese, per risollevarla dall’umiliante confronto odierno con quelle europee e occidentali, con le quali non può competere a causa della mortificazione della ricerca e il livellamento della qualità verso il basso".

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