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Emergenza Covid-19: un ritorno anticipato interrompe la cooperazione

Alessandro Bonati rientra a Valeggio dopo 10 mesi come Corpo Civile di Pace

La gestione dei conflitti ambientali, il contrasto all’inquinamento prodotto dalle miniere peruviane e poi l’improvvisa corsa per rientrare in Italia, prima che l’emergenza sanitaria ormai mondiale potesse bloccare all’estero anche lui. Alessandro Bonati abita a Valeggio sul Mincio e lo scorso luglio è partito per il Perù come Corpo Civile di Pace, aderendo alla proposta della storica Ong veronese, Progettomondo.mlal, che a sua volta partecipa al bando della Focsiv (Federazione degli Organismi Cristiani Servizio Internazionale Volontario). Dopo la triennale in filosofia e la magistrale in antropologia il giovane volontario di 29 anni ha prima aderito a un anno di servizio civile in Brasile e poi è diventato Corpo Civile di Pace, una figura designata per la “difesa civile, non armata e non violenta” in situazioni di conflitto e di emergenze ambientali. Il 13 marzo, il venerdì prima dell’inaspettata chiamata al rientro, Alessandro e la collega Alessia, partita con lui alla volta del Paese andino, stavano riunendosi con soci e partner locali di Progettomondo.mlal proprio per sviluppare il piano per la gestione ambientale e la mappatura del territorio rurale di Cujaca dove la presenza di miniere provoca l’inquinamento dell’acqua, l’abbandono di rifiuti e una serie di altre criticità.

«Sabato mattina l’Ong ci ha telefonati per dirci che le indicazioni erano di partire subito”, racconta il giovane che avrebbe dovuto restare in Perù fino a fine giugno. “Abbiamo regalato ai vicini le riserve di cibo che avevamo in dispensa poi, in fretta e furia, senza la possibilità di salutare nessuno, abbiamo messo in valigia quanto possibile e siamo saliti per il primo volo per Lima».

Altri Ccp si erano già imbarcati per l’Italia, ad Alessandro e Alessia è toccato aspettare fino al giorno dopo per raggiungere Buenos Aires e quindi Roma. Da qui il treno rispettivamente per Verona e per Milano.

«Tutto è successo velocissimo”, racconta il giovane di Valeggio. “Controllavamo a distanza la situazione in Italia. Il primo contagio in Perù è accaduto una settimana prima che partissimo e insieme alla presa d’assalto dei supermercati sono iniziate le progressive limitazioni dei luoghi di aggregazione».

Non appena atterrato in Italia Alessandro si è sottoposto alla quarantena, come previsto dal decreto per chi arriva dall’estero. «Mio padre mi ha messo a disposizione una sua vecchia casa e mi porta la spesa a distanza», dice Alessandro.

«Solitamente il rientro rappresenta una festa e un momento di condivisione e pure di abbracci con la famiglia. Questa volta invece i rapporti sono solo a distanza. L’entusiasmo è azzerato, prevale la preoccupazione».

Alessandro, che ha scelto di dedicarsi al sostegno delle fragilità per garantire una vita dignitosa a tutti, lancia infine un appello.

«Penso che la gente debba cercare di evitare il giudizio troppo facile. Anche prima del virus c’era la tendenza a puntare il dito contro gli altri, e ora temo che si possa scivolare in prese di posizione frutto di rabbia e rancori, che rischiano di creare falsi nemici. Verso gli altri serve un po’ di pietà, senza etichette o valutazioni affrettate».  

Ogni ambasciata si sta muovendo per conto proprio e gli italiani all’estero stanno vivendo ore di incertezza e una forte preoccupazione sul futuro prossimo del Paese in cui si trovano.Lo stesso vale per gli operatori di Progettomondo.mlal che, a causa della diffusa emergenza sanitaria, stanno assistendo a una progressiva limitazione di servizi, scuole, locali e voli a seconda dei luoghi in cui operano. Il timore più grande è l’incapacità dei Paesi in via di Sviluppo non solo di riuscire ad affrontare un’eventuale massiccia diffusione del Covid-19 dal punto di vista sanitario, ma anche che possano mancare i beni di prima necessità. L’impatto del virus, in realtà già sofferenti, si prospetta esponenzialmente più grave. La minaccia che salti l’ordine pubblico è dietro l’angolo perché un eventuale stop di Paesi in cui la gente vive già di stenti significherebbe l’impossibilità per molti di procurarsi da vivere.

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