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Ricordati, a Udine anche i veronesi che combatterono in divisa asburgica nel 1866

Erano in gran parte inquadrati nei reggimenti di fanteria di linea 45° "Sigmund" e 80° "Holstein" i coscritti veronesi che presero parte in divisa asburgica alla guerra austro-italo-prussiana del 1866

Nota- Questo comunicato è stato pubblicato integralmente come contributo esterno. Questo contenuto non è pertanto un articolo prodotto dalla redazione di VeronaSera

Erano in gran parte inquadrati nei reggimenti di fanteria di linea 45° "Sigmund" e 80° "Holstein" i coscritti veronesi che presero parte in divisa asburgica alla guerra austro-italo-prussiana del 1866. Il 45°, con sede a Verona, fu istituito in Veneto nel 1814 e centocinquant'anni or sono arruolata reclute tra Mantovano, Polesine e Veronese. Nel 1866, sotto il colonnello Carl Ritter von Ripper, i fanti veneti del 45°, intitolato all'arciduca asburgico Sigismondo, parteciparono sul fronte boemo al conflitto tra l'Austria e la Prussia e pagarono un grave tributo di sangue nella battaglia di Münchengrätz il 28 giugno, il 29 a Gitschin e il 3 luglio nel risolutivo scontro di Sadowa/Königgrätz contro le potenti armate di Berlino, dove si trovarono fianco a fianco con i compaesani arruolati nelle file 80° comandato dal colonnello Joseph Heinold... Chi li ricorda oggi quei padri eroici eppure sconfitti e dimenticati? 13° "Bamberg" di Padova? 16° "Wernhardt" di Treviso? 26° "Michael" di Udine? 38° "Haugwitz" di Monselice? 45° "Sigmund" di Verona? 79° "Frank" di Pordenone? 80° "Holstein" di Vicenza? Chi mai li ricorda più i nomi di quei sette reggimenti, di quei fanti del Nordest d'Italia, che nel 1866, per l'ultima volta, tra Meno ed Elba, testimoniarono sul campo di battaglia la lealtà e il valore delle genti di quanto rimaneva ancora del regno asburgico del Lombardo-Veneto a difesa della vecchia Austria imperiale, principio di Europa Unita nel cuore geografico del Continente? È passato un secolo e mezzo da quando un piccolo ma bellicoso Stato tedesco, la Prussia, alleato di una neonata Italia sabauda, aggredì e sconfisse l'impero multietnico degli Asburgo, ultimo erede della tradizione cosmopolita romana d'Occidente, per rimpiazzarlo in Germania poi con un grande "Reich" nazionale presto protagonista di tante sciagure continentali e globali. L'Europa Centrale, la Mitteleuropa, stava cambiando: si stava attivando un meccanismo perverso che avrebbe condotto a mille nuove oppressioni, persecuzioni, pulizie etniche e trascinato l'intero pianeta nella follia di due guerre mondiali bastanti a disarcionare il Vecchio Continente dalla guida del mondo. "Quest'epoca non ci vuole! Essa vuole, in primo luogo, creare degli Stati nazionali indipendenti! La gente non crede più in Dio. Il nazionalismo è la nuova religione. I popoli non vanno più nelle chiese. Vanno nei circoli nazionalisti": queste le parole che Joseph Roth faceva pronunciare a certo conte Chojnicki nel suo celebre romanzo "La Marcia di Radetzky". Ebbene, a centocinquant'anni di distanza, c'è chi davvero non ha dimenticato i valorosi friulani, lombardi e veneti caduti nell'estremo tentativo di fermare la Storia di un'Europa inesorabilmente avviata verso il baratro delle più perniciose frammentazioni e contrapposizioni nazionalistiche. Domenica 3 luglio 2016, infatti, ricorrendo il 150° della decisiva battaglia di Sadowa/Königgrätz (Hradec Králové) in Boemia, dove notoriamente persero la vita anche centinaia di figli del vecchio Lombardo-Veneto, ecco che a Udine, nel Friuli, capoluogo della vecchia provincia testimone dei fatti salienti che condussero nel Nordest d'Italia all'avvento dell'Impero asburgico alla fine del Settecento (vd. Trattato di Campoformio), sette signore aderenti al Movimento Civico Culturale Alpino-Adriatico "Fogolâr Civic", fattesi madrine della memoria ciascuna di uno di quei reparti che tennero alto il nome italiano e ancor prima friulano, lombardo e veneto sotto le insegne di Casa d'Austria, allora incarnanti l'idea di una patria comune forte mitteleuropea, hanno deposto mazzi di rose recanti i colori reggimentali presso il tempietto civile locale appunto dedicato "ai caduti per la patria". Quindi, mentre Manuela Bondio recava i suoi fiori al ricordo dei fanti del 13° (colore rosa), Renata D'Aronco ai loro camerati del 16° (colore giallo), Mirella Valzacchi al 26° (colore verde), Maria Luisa Ranzato ai soldati del 38° (colore rosa), Milvia Cuttini al 45° (colore rosso), Antonietta Monzo al 79° (colore verde) e all'80° Marisa Celotti (colore rosso), il gonfalone storico del Fogolâr Civic, retto dal consigliere sociale Maurizio Di Fant, si piegava in segno di omaggio insieme al medagliere della sezione provinciale di Udine dell'Istituto del Nastro Azzurro fra Combattenti Decorati al Valor Militare, affidato al suo presidente Sergio Bertini. A terra, sotto la Statua della Vittoria, ad accogliere le dediche commemorative del sangue italico spanto per l'Impero austriaco erede di Roma, lo stendardo asburgico giallonero, realizzato dalla vicaria del Fogolâr Civic, dott.ssa Maria Luisa Ranzato. Al centro della bandiera imperiale, un bouquet con la dedicatoria "Fogolâr Civic ai caduti lombardo-veneti per la patria comune mitteleuropea 1866/2016" e un indirizzo di omaggio più intimo, in lingua locale friulana, "Ai ultins vons jenfri Mantue e Udin muarts par difindi une Europe unide" (trad. it. "Agli ultimi padri tra Mantova e Udine morti a difesa di un'Europa unita"). Infatti, poi, il Veneto, Mantova e Udine, con la sconfitta austriaca di centocinquant'anni or sono per mano prussiana, passarono all'Italia e i loro figli militarono in seguito, quindi, in gran parte, sotto il Tricolore: non più a favore, dunque, di uno Stato plurinazionale precursore di unità europea. Durante la cerimonia udinese, le tradizioni e le gesta dei singoli reggimenti lombardo-veneti nel corso della guerra sul fronte austro-prussiano nel 1866 sono state brevemente rievocate dal prof. Alberto Travain, presidente del Movimento Civico Culturale Alpino-Adriatico "Fogolâr Civic" e del Circolo Universitario Friulano "Academie dal Friûl", promotore dell'iniziativa, che non ha mancato di sottolineare come la Vecchia Austria, per cui si batterono sino alla Prima Guerra Mondiale tanti Italiani tra Dalmazia e Dolomiti, fosse uno Stato per molti aspetti non soltanto erede ideale ma simile a quella migliore Roma antica che sul serio tutelava i suoi cittadini, i suoi "cives", e non li lasciava certo impunemente scannare dai "Barbari". Un riferimento all'attualità e alla visibile inadeguatezza dell'odierna Repubblica Italiana nonché dell'Unione Europea ad affrontare con pugno di ferro casi quali quello dello scempio in Egitto del giovane ricercatore friulano Giulio Regeni, inviso al regime locale per la serietà dei studi economico-sociali nella terra dei faraoni. "Al suono della Marcia di Radetzky, un secolo e mezzo fa quei nostri padri in pratica marciarono - detto soprattutto con il senno di poi - contro il baratro cui si appressava l'Europa del tempo. Non fioccarono affatto allora tra il popolo renitenti e disertori mentre non mancarono i volontari!" ha rimarcato in chiusura Travain. Alla cerimonia laica commemorativa si è, poi, accostato un momento religioso a cura del popolarissimo don Tarcisio Bordignon, benemerito cappellano sociale del Fogolâr Civic, che ha invitato a pregare per quanti, Cristiani e non, allora compirono il loro dovere di cittadini difendendo la patria asburgica. Una rilettura, insomma, civista ed europeista del passato "austriaco" del Nordest d'Italia, Storia per davvero "maestra di vita" e di civiltà.

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