L'uomo dal fiore in bocca: Gabriele Lavia protagonista sul palco del Teatro Nuovo
"L’uomo dal fiore in bocca" è un atto unico di Luigi Pirandello (1867-1936) rappresentato per la prima volta il 21 febbraio 1923 al Teatro degli Indipendenti di Roma. Gli anni Venti sono anni d’oro per Pirandello: dopo i riconoscimenti letterari iniziati col successo del romanzo Il fu Mattia Pascal (1904), è la compagnia di prosa Teatro d’Arte di Roma (primi attori Marta Abba e Ruggero Ruggeri) che lui fonda nel 1925 e con cui gira il mondo ricevendo grandi consensi, a dargli quella notorietà internazionale grazie alla quale riceverà nel 1934 il premio Nobel. Lo spettacolo andrà in scena alle 20.45 da martedì 7 fino a domenica 12 marzo (ore 16.00) al Teatro Nuovo di Verona.
Con L’uomo dal fiore in bocca Gabriele Lavia (protagonista, nella nostra città, di memorabili interpretazioni sia al Nuovo che al Teatro Romano) continua il suo percorso pirandelliano di questi anni iniziato con Tutto per bene e proseguito con La trappola e con Sei personaggi in cerca di autore. «Un uomo… “un po’ strano”, un uomo… “pacifico” e una donna come “un’ombra che passa in lontananza” sono i tre protagonisti del capolavoro di Pirandello L’uomo dal fiore in bocca. Nel 1922 – spiega Gabriele Lavia – Anton Giulio Bragaglia chiese a Pirandello di scrivergli qualcosa per il “Teatro Sperimentale degli Indipendenti”. Pirandello riprese “integralmente” il testo della sua novella Caffè notturno, scritta nel 1918, pubblicata successivamente col titolo La morte addosso nelle Novelle per un anno. Il titolo della novella trasformata in testo per il teatro diventò L’uomo dal fiore in bocca, il più breve testo teatrale di tutta l’opera di Pirandello. Forse l’opera più folgorante. Un capolavoro. Ora L’uomo dal fiore in bocca diventa – prosegue Lavia – uno spettacolo vero e proprio la cui durata è un’ora e un quarto. Il breve “atto unico” è stato interpolato con “pezzi” di novelle che affrontano il tema (fatale per Pirandello) del rapporto tormentato tra marito e moglie (“si dovrebbe dire La marito e, per conseguenza, Il moglie”) che viene visto col distacco di un’ironia che rende i personaggi vicinissimi a noi. Così questa “donna che passa da lontano” e che forse è il simbolo di quella “morte” che l’uomo si porta appresso “come un’ombra”, diviene, in questa “drammaturgia”, la protagonista invisibile dei “guai” grandi e piccoli ma pur sempre “inguaribili” dei due protagonisti. Ma può l’uomo rinunciare alla donna? Al simbolo del sesso femminile come “un’albicocca spaccata a metà e spremuta” che è una delle immagini più sconce ed erotiche del Teatro di tutti i tempi? No. L’uomo – conclude Gabriele Lavia – non può proprio fare a meno della donna. La sua malattia mortale».
Un uomo prossimo alla morte s’interroga sul mistero della vita e tenta di penetrarne l'essenza. Per chi, come lui, sa che la morte è vicina, tutti i particolari e le cose, insignificanti agli occhi altrui, assumono un valore e una collocazione diversa. L’azione si svolge nel caffè di una stazione dove l’uomo dal “fiore in bocca” parla con un uomo qualsiasi (il Pacifico avventore), che la monotonia e la banalità della vita quotidiana hanno reso scialbo, piatto e vuoto. Fino alla rivelazione finale: «Venga... le faccio vedere una cosa... Guardi, qua, sotto questo baffo... La morte, capisce? è passata. M’ha ficcato questo fiore in bocca, e m’ha detto: “Tientelo, caro, ripasserò fra otto o dieci mesi”».
(fonte foto Teatro Stabile del Veneto)