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Marted al Nuovo il malato immaginario di Lavia

L'attore sar anche il regista dello spettacolo: "Ho preso spunto dal Malone muore di Beckett"

Martedì 14 dicembre alle 20.45 terzo appuntamento, al Nuovo, con Il Grande Teatro. In programma Il malato immaginario di Molière con Gabriele Lavia nel duplice ruolo di protagonista (nel ruolo di Argante) e di regista. Gabriele Lavia si confronta dunque ancora una volta con Molière dopo la sua indimenticabile interpretazione dell’Avaro, sempre al Grande Teatro, nella stagione 2003-2004.

Lavia, che ha fatto dell’inquietudine di pensiero, della ricerca, della creatività fantasiosa e poetica, dell’attenzione all’animo dell’uomo contemporaneo il proprio “segno artistico”, non poteva non imprimere il fascino della sua interpretazione anche all’ultimo capolavoro di Molière, un’opera che gli è particolarmente congeniale per la qualità della drammaturgia e lo spessore dei personaggi. Ma anche per l’ironia che la percorre e perché si presta a una molteplicità di chiavi di lettura che offrono la possibilità di guardare, attraverso l’ipocondriaco Argante, alle debolezze dell’uomo moderno così come a quelle della società che lo circonda.

«Tutto sulla morte: potrei sottotitolare così – spiega Lavia – questo mio allestimento per il quale ho preso spunto dal Malone muore di Beckett, in cui i personaggi, misteriosamente infermi, isolati nei loro disperati monologhi, incarnano emblematicamente la solitudine dell’uomo contemporaneo. Del resto come non vedere la morte in un uomo che ha scelto di vivere tra il letto e il gabinetto? Diceva Pasolini che “l’irrealtà coincide con la borghesia stessa, la quale non rinvia a una classe sociale, ma a una malattia”. Così Argante trasforma la sua malattia esistenziale in male fisico immaginario, perché è più attratto dalla morte che dalla vita. Attorno a lui si muove un mondo altrettanto assurdo e misero, ma senza dubbio inconsapevolmente e tristemente comico, in cui ognuno esprime la caricatura di se stesso e, quindi, dell’umanità. E tutto questo – conclude Lavia – è, ahimè, fin troppo attuale».

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