Tratto dal romanzo di Umberto Eco, in scena al Teatro Nuovo "Il nome della rosa"
Il sesto appuntamento del Grande Teatro è (dal 13 al 18 febbraio) con "Il nome della rosa" di Stefano Massini tratto dall’omonimo romanzo di Umberto Eco. Lo spettacolo è prodotto dal Teatro Stabile di Torino - Teatro Nazionale, dal Teatro Stabile del Veneto - Teatro Nazionale e dal Teatro Stabile di Genova.
Semiologo, saggista, esponente del Gruppo 63, esperto di estetica, di poetiche d’avanguardia e di comunicazione di massa, Umberto Eco (1932-2015) è l’autore – negli anni 60 e 70 – di brillanti inchieste sulla cultura di consumo. Tra queste, Diario minimo(1963), Apocalittici e integrati (1964) e Il superuomo di massa (1976). Con Il nome della rosa, il suo primo romanzo, ottiene nel 1980 un successo di rilevanza mondiale. Negli anni l’opera viene tradotta in oltre quaranta lingue e vende più di cinquanta milioni di copie. Un sondaggio di Le Monde del 1999 annovera Il nome della rosa nei cento migliori libri della narrativa mondiale del Novecento. Nel 1986 diventa un film con Sean Connery nei panni di Guglielmo. Thriller gotico d’ambientazione medievale e conventuale, Il nome della rosa sviluppa con lucido razionalismo la fitta trama di un dibattito ideologico nell’arco di sette giornate scandite dai ritmi della vita monastica.
«Ho letto per la prima volta Il nome della rosa – dice Leo Muscato – durante il primo anno di Università, mentre preparavo l’esame di Letteratura medievale. Ricordo la netta sensazione di capire più cose del Medioevo leggendo il romanzo, che non studiando i libri di testo. Ne ho poi riletta un’edizione più recente arricchita di postille che in qualche modo mettevano la parola fine alle mille congetture lette qua e là. In particolare in Saggi su "Il nome della rosa" a cura di Renato Giovannoli dove figurano una quarantina di analisi del romanzo fatte da altrettanti critici letterari. Per la cronaca – prosegue il regista – alcuni di questi saggi sono stati fonte di riflessioni importanti. Ho scandito lo spettacolo con una quarantina di passaggi di tempo segnati da continui cambi di spazio. Per questo abbiamo immaginato una scatola nera e astratta con una serie di feritoie attraverso cui far entrare luci e oggetti con i quali evocare i diversi ambienti. Ci siamo serviti – conclude Muscato – anche di videoproiezioni che hanno la funzione drammaturgica di visualizzare gli stati d’animo dei personaggi in quel momento in scena».
Novembre 1327. Guglielmo da Baskerville, frate francescano inglese a suo tempo inquisitore, e Adso da Melk, suo allievo, si recano in un monastero benedettino sui monti dell’Italia settentrionale dove è in programma un convegno che vedrà i francescani alleati dell’imperatore Ludovico contrapposti ai delegati della curia papale. Dopo l’inspiegabile morte di un giovane confratello, l’abate, che ha a cuore il convegno, chiede a Guglielmo di fare luce sul tragico evento. Mente si discute sul tema della povertà della Chiesa altre morti violente avvengono nel monastero.
Guglielmo sospetta che siano connesse a un manoscritto greco custodito gelosamente nella biblioteca-labirinto dove possono accedere solo il bibliotecario e il suo aiutante. L’inquisitore Bernardo Gui, giunto nel frattempo, individua in Remigio e Salvatore (in passato eretici seguaci di fra Dolcino) e in una ragazza del luogo i responsabili degli omicidi. Non la pensa così Guglielmo che persiste nella sua idea e avrà la conferma che tutto è legato a quel manoscritto conservato in biblioteca, a quella preziosissima ultima copia del secondo libro della Poetica di Aristotele.
(fonte Comune di Verona)