Alla galleria Studio la Città la mostra collettiva "Poem without word"
"Poem without word " è il titolo della collettiva che Studio la Città ha inaugurato sabato 25 novembre alle ore 11 negli spazi di lungadige Galtarossa 21 a Verona, con grande successo di pubblico e molto interesse nei confronti degli artisti presenti. La mostra nata da un’idea di Hélène de Franchis che ha invitato Stanislao Vialardi, giovane collezionista, a pensare ad una selezione di artisti giovani presenti nella sua collezione e non rappresentati da Studio la Città. La galleria è stata così allestita con opere di Cleo Fariselli, Francesca Ferreri, Sophie Ko, Renato Leotta, Agathe Rosa, Manuel Scano Larrazàbal, Serena Ventrucci - alcune delle quali appositamente realizzate per la mostra.
Stanislao e Francesca Vialardi hanno incominciato a collezionare attraverso le suggestioni nate dalla Collezione Panza di Biumo e dal lavoro di Axel Verwoordt, per poi avvicinarsi a Studio la Città incontrando le opere di artisti quali David Simpson, Emil Lukas, Stuart Arends, Herbert Hamak, Mirco Marchelli. In seguito la loro ricerca e l’interesse si sono rivolti anche verso altri artisti più giovani dei quali in mostra si presentano le opere più recenti.
Pittura, performance, scultura, fotografia e media vari, a volte combinati insieme, altre volte singolarmente, caratterizzano le opere degli artisti proposti in mostra e alcuni di loro hanno realizzato nuovi lavori appositamente per questa esposizione. Le quotazioni si collocano per la maggior parte in un range compreso tra i 1.000 e 10.000 euro con qualche eccezione per le opere di maggiore dimensione.
Gli artisti
Cleo Fariselli, è nata a Cesenatico nel 1982. Vive e lavora a Torino. È un’artista e performer e presenta in questa occasione alcune opere in raku e altre in gesso. A un primo sguardo le sculture in raku appaiono come concrezioni laviche, con una superficie interna cangiante e madreperlacea, ma in realtà si tratta di calchi di parti del corpo dell’artista: fianchi, il volto, le orecchie, il busto che nel gioco di contrasti messo in atto tra esterno e interno, rivelano la natura metamorfica della scultura. Il ciclo di opere in gesso ceramico dei Gran Papa nasce - come dice Fariselli stessa - «da un impulso, dal desiderio di ottenere una figura senza doverla prefigurare nella mente. Li realizzo partendo da blocchi di argilla che scavo dall’interno con le mani, riproducendo il soggetto tastandone il materiale. Nel volume negativo che ottengo, colo il gesso ceramico dentistico che mi rivela la figura che ho creato».
Francesca Ferreri, è nata a Savigliano nel 1981.Vive e lavora a Torino. Il suo lavoro si sviluppa attraverso processi di che l’artista definisce «stratificazioni di materiali come sabbia, pigmenti, cemento e resine, evocano paesaggi geologici abitati da frammenti di oggetti quotidiani e di consumo, in un'atmosfera visionaria». Ferreri presenta in mostra tre gruppi di opere: XXIV Definizioni (2020), Germination #1, #2 e Stormi#3, #4, #5 del 2022. Nelle sue opere il rapporto tra restauro e algoritmi matematici è uno spunto poetico del processo scultoreo che indaga la materia nella sua dimensione spazio-temporale e percettiva.
Sophie Ko è nata a Tbilisi nel 1981. Vive e lavora a Milano. L’artista pone al centro dei suoi lavori la questione del tempo avviando una forte relazione simbolica tra i materiali utilizzati – ceneri di immagini bruciate e pigmenti puri – e le immagini create. Il mutamento e l’instabilità dei materiali in relazione allo scorrere del tempo sono alcune costanti della sua ricerca artistica. Una componente essenziale delle Geografie temporali è la forza di gravità che opera sulla e con la materia del Quadro, cioè la cenere. La gravità spinge la cenere a cadere e in questo senso, dunque, ogni Geografia temporale è anche un segnatempo, un orologio a polvere. La cornice delimita lo spazio dell’immagine di cenere. Con il passar del tempo la composizione del quadro cambia, la cenere cade e il tempo grazie alla forza di gravità segna il suo passaggio.
Renato Leotta, è nato a Torino nel 1982. Attualmente vive e lavora tra Acireale e Torino. Le opere di Leotta sono atti di osservazione, grazie all'uso del paesaggio come soggetto. Come un archeologo del reale, Leotta cerca, attraverso il suo processo di osservazione, di identificare e circoscrivere una serie di immagini, visualizzate attraverso diversi media, che pur essendo legate a un tempo e a uno spazio specifici, contengono un carattere universale. Inoltre, presentando allo spettatore immagini non incentrate sulla narrazione, lavora e resiste ai limiti del cliché.
Agathe Rosa è nata ad Annecy nel 1987. Vive e lavora tra Marsiglia e Torino. L'attenzione di Agathe Rosa si concentra sull'interazione della luce naturale con l'uomo e i territori. Esplorando le capacità di questa "materia luminosa", l'artista utilizza i processi cognitivi (percezione, sensazione, memoria, rappresentazione) e interroga la nostra concezione di solidità delle cose. Perché è quando la materia diventa movimento e interazione di forze, che possiamo interrogare ciò che rimane invisibile ai nostri occhi. Il processo creativo di Agathe Rosa è generalmente avviato da un atto fotografico intuitivo e fondante, a partire dal quale il lavoro si dispiega dall'installazione immersiva site-specific al disegno, passando per l'assemblaggio di oggetti, il video o la scrittura.
Manuel Scano Larrazabàl è nato a Padova nel 1981 dove vive e lavora, ma fino fino all'età di 11 anni ha vissuto a Caracas. Il suo ritorno in Italia è stato un momento di significativo confronto culturale. Studente dell’Accademia di Belle arti di Brera è stato allievo di Alberto Garutti. Più recentemente le opere di Scano Larrazàbal risentono come egli stesso afferma dello «studio delle pratiche di meditazione non duale. Questo ha rafforzato il lato della mia ricerca artistica, che aspira a catturare il "momento puro" inteso come quel momento dell’esperienza che esiste di per sé, libero da qualsiasi interferenza esterna. In questo senso, mi ritrovo spesso ad agire come spettatore dei miei stessi lavori, che si sviluppano attraverso la realizzazione di una serie di dispositivi effimeri, giocosi e spontanei, di cui sono frequentemente testimone». L’installazione e le opere presenti in mostra rendono partecipe lo spettatore di questa particolare intensità e fugace inafferrabilità.
Serena Vestrucci è nata nel 1986 a Milano dove vive e lavora. Impregnate di una sottile ironia verso la contemporaneità, le opere di Vestrucci sondano l'ovvietà delle piccole cose, dando voce a ciò che spesso è nascosto, dimenticato o messo in secondo piano. Attraverso un linguaggio giocoso, ma diretto e provocatorio, l'artista eleva l'ambiguità a elemento fondante per una comprensione più accurata della realtà. In mostra un’opera del ciclo Batter d'occhio. Si tratta di tracce di battiti di ciglia replicati e fermati nel tempo. «Ho sempre pensato alle ciglia – spiega Serena Vestrucci - come pennelli che ognuno ha costantemente a disposizione e che, nel loro incessante movimento, lasciano segni incontrollati che graffiano l’aria. Il loro battito, istantaneo e inafferrabile, rimanda alla durata rapida e transitoria che intercorre tra uno sguardo e l’altro, allo stesso modo in cui è la nostra presenza: momentanea e fuggevole».