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Giovedì, 28 Marzo 2024
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Schermi d'amore infranti, o il virus che non si può fermare

Sospesa a seguito dell'ordinanza regionale la 16esima edizione di "Schermi d'Amore"

Ha la voce rotta, tremante a tratti, il direttore artistico del 16esimo Festival cinematografico "Schermi d'Amore", nell'annunciare la proiezione delle ore 21 di domenica 23 febbraio 2020 al Teatro Ristori, il capolavoro di Joseph Losey Monsieur Klein. È il secondo giorno della kermesse, ma sarà questo l'ultimo film che verrà proiettato, «ci sono a volte momenti tragici» dice Paolo Romano. E chi pensa si tratti di un'esagerazione, ebbene è perché non sa cosa sia l'amore. 

Dopo dieci anni dall'ultima edizione, "Schermi d'Amore" tornava quest'anno, con la collaborazione tra il Verona Film Festival e il Circolo del Cinema, per rinnovare un appuntamento che a Verona è stato per molti anni considerato il principale evento cinematografico cittadino. L'ordinanza regionale che per contrastare l'emergenza coronavirus prevede, tra le altre cose, la sospensione di ogni evento, anche culturale, in luogo pubblico, non ha lasciato tuttavia alcun margine. La 16esima edizione del festival dedicato al cinema melò deve interrompersi prima del tempo, in attesa di capire se potrà essere più avanti recuperata.

Schermi d'Amore 2020

In sala aleggia un misto di rammarico, solidarietà e rassegnazione. Un applauso sentito e spontaneo accompagna le ultime parole di commiato degli organizzatori che chiudono il festival prima della proiezione del film. Nella semioscurità della sala, azzanno un panino, è quella la mia cena. Sono entrato nella sala del Ristori alle 17 per vedere Next Stop, Greenwich Village di Paul Mazursky, poi appena conclusosi alle 19 è stata la volta del film in concorso Deux Moi  di Cédric Klapisch, infine alle 21 senza soluzione di continuità il film di Losey. Sei ore filate di cinema, e il rammarico di essermi perso Lolita di Kubrick alle 10.30 di mattina e la proiezione delle 14.30 di La virgen de agosto, in quella che ho appena scoperto essere l'ultima giornata del festival. 

Sullo schermo un elegantissmo Alain Delon si barcamena per comprare a metà prezzo un quadro da un ebreo che, nella Parigi occupata del '42, si ritrova costretto a venderlo pur di racimolare qualcosa. Dal mio panino, un ribelle pomdorino schizza fuori all'improvviso e mi finisce sul maglione finendo con il macchiarlo. Lo raccolgo e, tra me e me, penso che in quel pomodorino ci sia un po' tutto il senso di questa strana giornata. Il mondo ha smesso all'improvviso di funzionare, qualcosa si è inceppato e si è tutti un po' storditi dinanzi ad una situazione che, «per chi è nato dopo la guerra» come ha appena detto il direttore del festival "Schermi d'Amore", risulta sicuramente «inedita». Più tardi ripenserò a quelle parole, all'uscita, apparse ad alcuni forse eccessive, eppure mi dirò, «è la prima volta che qualcuno mi impedisce di recarmi in un luogo pubblico». Le ragioni sono sacrosante, tutte legittime le preoccupazioni e le forme di precauzione, ma un senso di limitazione della mia personale libertà individuale è, altrettanto oggettivamente, innegabile. 

All'uscita dalla sala ripenserò anche alla scelta di Alain Delon, salire sul treno dei deportati ebrei invece che su quello per fuggire altrove. Durante quella sequenza nella mia testa scorrevano altre immagini, quelle di Trans-Europ-Express di Alain Robbe-Grillet. Treni, locomotive, tutta la storia del cinema, dalle origini ad oggi, continua ad esserne attraversata. Mi sono sempre chiesto quale fosse il motivo. Il secondo ed ultimo giorno della 16esima edizione del festival "Schermi d'Amore", a suo modo, mi è parsa essere attraversata da quello che potremmo chiamare il "treno del cinema", il suo demone, o forse il suo virus. Nel film di Mazursky durante una festa in casa per racimolare soldi per l'affitto un gruppo di amici gioca alla "Metropolitana", fingendo di essere nella subway di New York. I titoli di testa di Deux Moi scorrono invece sopra le immagini velocizzate della metropolitana parigina, infine il treno, o i treni, di Monsieur Klein, o dei Messieurs Klein. Non so spiegarne il motivo, ma tutto questo mi dà un leggero senso di sollievo.

Sono tanti gli sforzi che servono per imbastire un festival, tante le persone coinvolte nell'organizzazione, da chi si occupa di selezionare i film a chi con cordialità accoglie al guardaroba i cappotti degli spettatori. Che tutto risulti vano, dopo dieci anni d'assenza, è qualcosa a cui non ci si può assolutamente rassegnare. Possiamo soltanto immaginare lo scoramento di chi gli sforzi per ripristinare "Schermi d'Amore" gli ha compiuti in prima persona. E, tuttavia, anche un'edizione come questa, interrotta anzitempo, porta con sé i segni dell'amore. L'infelicità, la disperazione, i «momenti tragici», non fanno forse parte di quello schermo infranto che, talvolta, si rivela essere quella strana cosa chiamata "amore"? Non assomiglia forse quest'ultimo, in alcune circostanze, a un pomodorino che spunta fuori da un sandwich e finisce col macchiarvi il vestito migliore?

Non ero l'unico a mangiare in sala ieri sera, al mio fianco una giovane coppia condivideva delle succulenti fragole. A fine proiezione ho scambiato qualche parola con loro e mi hanno raccontato la loro storia: "Monsieur Klein e Madame Klein" dieci anni fa parteciparono alla giuria giovani di "Schermi d'Amore", i due non si conoscevano. Da quella settimana del 2010 non hanno più smesso di frequentarsi. Per loro, la seppur breve edizione del festival di quest'anno è stata davvero il posto delle fragole...

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