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Cultura Legnago / Via Enrico Fermi, 10

Lettere e francobolli raccontano il 1866 a Legnago e il Quadrilatero dall’Austria all’Italia

Domenica 18 dicembre Lorenzo Carra, vicepresidente dell'Accademia italiana di filatelia e storia postale, è intervenuto presso il Centro ambientale archeologico di via Enrico Fermi 10

L’11 ottobre 1866, quando Pietro Avrese, “uomo politico di alti sentimenti patriottici, amministratore insigne, ligio al dovere, coraggioso”, ricevette da generale Edmond Le Beuf le chiavi della fortezza di Legnago, non tutti i vertici dell’Amministrazione pubblica vennero rimossi. Il servizio postale, allora importantissimo per le comunicazioni e per il commercio, rimase saldamente nelle mani di Giuseppe Geremia.

L’ufficio postale era di terza classe e gli annulli datari italiani entrarono in uso il 16.10.1866 (datario tondo) e il 18.5.1867 (numerale a punti: 2612). All’epoca gli abitanti della fortezza si aggirarono intorno a 11.000  e fin da subito fecero propria la rivoluzionaria riforma postale introdotta in Austria e, di conseguenza, in Lombardo Veneto. Così come era avvenuto in Gran Bretagna dieci anni prima, nel 1840, anche Vienna decise che da allora in poi a pagare le lettere fossero coloro che le spedivano. Una cosa normale ai giorni, non un secolo e mezzo fa quando a pagare il costo della lettera era il destinatario, che aveva la possibilità di rifiutare la missiva, se il mittente per una serie di ragioni non era gradito. O, più prosaicamente, perché non mancava la somma necessaria, fissata per giunta in base alla distanza.

Già nel primo giorno d’uso dei francobolli (l’1 giugno 1850) a Legnago ci fa almeno uno (magari il loro numero fu superiore, ma manca una testimonianza documentale) che sul plico indirizzato ad un avvocato di Padova, applicò  un francobollo da 15 centesimi (tanto all’epoca costava spedire una lettera) raffigurante l’aquila austroungarica.

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Di lettere e francobolli che raccontano il 1866 a Legnago nel Quadrilatero ha parlato domenica 18 dicembre Lorenzo Carra, vicepresidente dell’Accademia italiana di filatelia e storia postale, al Centro ambientale archeologico di via Enrico Fermi 10. “Servendomi di lettere e di francobolli usati a Legnago e dintorni in quel 1866 – spiega Lorenzo Carra riferendosi all’incontro promosso dal Circolo filatelico “Sergio Rettondini” – ho indagato le vicende che riguardarono l’unione del Veneto, del Friuli e di Mantova all’Italia. All’epoca la lettera era l’unico modo per dare e avere notizie e per tenersi in contatto col mondo. E sulle lettere c’erano i francobolli e dai francobolli, dal loro uso, dalle strade percorse, si può immediatamente comprendere la situazione di un luogo e di un momento. Legnago era allora una delle fortezze del Quadrilatero, un importante presidio austriaco e se, per fortuna, non vide vicende di sangue, visse momenti particolari che lettere e francobolli ben evidenziano e rammentano”.

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Sonoramente battuti (3 luglio 1866) a Königgrätz (Sadowa) da parte dei prussiani, gli austriaci si videro costretti a richiamare, in difesa della capitale dell’impero che si stava sgretolando, truppe stanziate nel Veneto e nel Mantovano. Un’occasione, questa dell’alleggerimento di forze armate imperiali, colta al balzo dell’Esercito italiano che, solamente sei giorni dopo (il 9 luglio) oltrepassato il Po, liberò larga parte del Veneto. Partendo da Badia Polesine, alcuni di questi reparti passano accanto alle Valli Grandi Veronesi, liberarono Castagnaro  e Villabartolomea sfiorando le mura della Roccaforte di Legnago, svoltando subito su Montagnana e Padova. Altre, aggirata Minerbe che rimase austriaca, puntarono su Lonigo e Vicenza, liberando Cologna che – come ha ricordato Lorenzo Carra nel corso dell’incontro promosso dal Circolo filatelico e numismatico “Sergio Rettondini” – fu “l’unico ufficio postale della provincia di Verona a diventare italiano prima della firma del trattato di Pace dell’ottobre 1866”.

Ringalluzziti dal fatto che nella sua marcia di liberazione l’Esercito tricolore non avesse attaccato, come forse si aspettavano, la Fortezza di Legnago che assieme a Mantova, Peschiera del Garda e Verona, forma il Quadrilatero “concepito come un organizzato sistema di fortezze  che, con le Alpi e il Lago di Garda a nord ed il Po al sud, chiudessero e impedissero il passaggio di eserciti da est o sud a minacciare il Veneto e il Trentino”, i soldati austriaci continuarono a dominare la Bassa. Come testimonia la lettera scritta il 22 luglio 1866 da Francesco Carraro e indirizzata a Padova, destinatario il conte Milone di Sambonifacio. Per prima cosa il mittente, ritenendo “che la posta corra regolarmente da Montagnana a Padova” informa il destinatario di aver “fissato di servirmi di quella via pella nostra corrispondenza”raccomandando al tempo stesso che “lettere per me od altri potranno  essere dirette  a Montagnana, raccomandate al sig. Francesco Briggi-Montebello che a tal uopo è officiato”. Pur essendo ormai italiana Villabartolomea (ma anche Castagnaro) all’epoca non disponeva di un ufficio postale. Nella Bassa Veronese solo Legnago, Sanguinetto e Isola della Scala disponevano di proprie stazioni di posta. Nell’impossibilità di utilizzare l’ufficio postale di Legnago (austriaco), Francesco Carraro aveva eletto a proprio ufficio di posta quello di Montagnana, italiano così come quello di Padova.

E poco importava fosse più caro. Come comprova un’altra missiva che Lorenzo Carra ha mostrato e commentato all’interno di quello che un tempo fu l’Ospedale militare – il più importante reperto rimasto della Fortezza, recuperato con fondi europei “un orgoglio per noi averlo”, come ha sottolineato il sindaco Clara Scapin intervenuta all’incontro “Lettere e francobolli raccontano: 1866 Legnago e il Quadrilatero dall’Austria all’Italia” – scritta questa a Cerea il 9 agosto 1865 e  indirizzata a “Villabartola” (abbreviazione di Villabartolomea, conseguenza della carenza di spazio a disposizione nel foglio per ospitare dalla lunga denominazione) a “Sig.re Onorevolissimo Sig.r conte Federico  di S. Bonifacio” allo “Stallo del Sig.r Aless.dro Carli” pagò 5 soldi (o 5 kreuzer, in italiano “carantani”), pari a 12 centesimi italiani mentre in Italia una lettera pagava 20 centesimi. Per di più nel primo caso il peso poteva arrivare a un “lotto viennese”, ossia 17,5 grammi, mentre nel territori tricolori la bilancia doveva fermarsi a 10 grammi.

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Tornando alla lettera di Francesco Carraro, che come tante altre racconta scampoli di storia che quasi mai finiscono nei libri chiamati a far memoria del passato, si apprende, tra l’altro, che “le esazioni di fanno desiderare, tutti li contribuenti si lagnano di non poter vendere li loro generi, non potendosi andare più oltre di Carpi e di Vigo...” e che “dal 30 giugno p.p. io non potei trovare il mezzo di ottenere il permesso di entrare in Legnago e molto meno adesso che colà non si vuole nemmeno sentir nominare gli abitanti di Villa [Bartolomea] e Vigo”. Questo per una non meglio specificata vicenda legata “all’omissione del cavallo da parte del Bersagliere Italiani”.

Dalla Fortezza, invece i soldati uscivano, eccome. Senza permesso, s’intende, anche se ormai Villabartolomea (e non solo) era di fatto italiana. Il 24 luglio, per dire, “sequestrarono 24 Brenti di vino (...) La Deputazione comperò il vino da Biolo e Boninsegna a fiorini 6 e tassò vari di questi abitanti”. Una volta arrivato a Legnago il vino così maldestramente requisito si rivelò per quello che era: imbevibile. Forse “adulterato senza misura” da Boninsegna.

Equiparabile, come tante altre lettere alle gazzette, ai giornali dell’epoca, nella missiva il mittente mostrava di avere dei dubbi su alcune azioni pratiche, come quella legata al pagamento della rata “Prediale di questo mese”. A chi spetta? “Se dentro del mese – scrive - questo comune sarà occupato dagli Italiani la cosa sarebbe fuori di dubbio, ma finché gli Italiani restano a Castagnaro, e gli Austriaci a Legnago, potessimo male pagarla agli uni ed agli atri. Qui qualcheduno solito a muoversi col piè di piombo, dice: io non pagherei”.

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Non mancano, poi, ragguagli sulle culture e sul tempo disposto, sembra “a volerci donare la desiderata pioggia che assicurerebbe un abbondante raccolto di frumentone. Le risaie sono magnifiche. Le uve danno poche presenze, ed il frumento fu molto scarso, forse 2/3”. Non mancano, nello scritto, riferimenti anche sulla situazione politica. Qui – conclude infatti la lunga missiva firmata da Francesco Carraro – siamo affatto privi di ogni notizia degli affari mondiali. Vuolsi che Garibaldi abbia chiuso la strada dell’Adige per Tirolo”.

Tornando al servizio postale vero e proprio c’è da dire che a partire dal 16 ottobre Legnago – cinque giorni dopo, quindi, essere tornata italiana-  cominciò ad affrancare le lettere non più con l’aquila bicipite austriaca bensì col ritratto del re d’Italia Vittorio Emanuele II. Il timbro datario austriaco – sempre senza l’indicazione dell’anno, elemento questo che sottolinea e ribadisce l’importanza di conservare integro il contenuto delle missive, dove l’anno è solitamente riportato – continuò a bollare la corrispondenza in partenza fino al 6 settembre 1867. Poco, rispetto al resto del Veneto dove, tenuto a anche conto che a differenza dei francobolli non portavano recavano alcun riferimento austriaco, “le ultime sostituzioni furono effettuate nell’estate del 1879”.

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