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"Dantedì", la giornata nazionale dedicata a Dante Alighieri

Cancellati gli eventi pubblici anche per il Dantedì, le guide turistiche di Verona celebrano con un comunicato stampa la ricorrenza: «Tosse e febbre alta, così morì Dante»

«Stava sotto un tiglio, ma anche sopra una quercia: chi era? Non è un indovinello, anche se sono davvero curiosi i destini incrociati di due secolari piante venete, un tiglio nel centro di Verona e una quercia nel Polesine rodigino. Entrambe accumunate niente meno che da Dante Alighieri. Era lui che stava sotto (e sopra) i due alberi. Oggi 25 marzo è Dantedì, Giornata Nazionale dedicata al Poeta, istituita a gennaio dal Consiglio dei Ministri. Tutti gli eventi a contatto con il pubblico sono saltati.

Le Guide Turistiche dell’Associazione Ippogrifo, che raggruppa professionisti delle città venete, per celebrare il Dantedì avevano individuato un curioso e finora inesplorato collegamento verde tra le due città e che avrebbe dovuto essere tema di una visita guidata dantesca, a Verona e a Rovigo. Rimandata ad un futuro che ci auguriamo molto prossimo… Un maestoso tiglio sorgeva ai tempi di Dante nel giardino privato dei Della Scala, in piazza Viviani, a Verona. Il Poeta amava meditare e studiare all’ombra di quell’albero, ospite dell’amico Cangrande. Fino agli anni ’60 gli anziani veronesi lo chiamavano “il tiglio di Dante”. Lasciata Verona, dopo avere trovato rifugio a Ravenna, il Poeta incrocia nella sua esistenza un’altra pianta: una quercia. In questo caso un incontro fugace, ma, secondo la leggenda, determinante.

Il Poeta è di ritorno da un’ambasceria a Venezia, ma si perde mentre cerca di rientrare a Ravenna: “la diritta via era smarrita”, ma stavolta per davvero. Siamo nel 1321, agli inizi di settembre, e in questo caso la “selva oscura” di Dante è una zona paludosa, flagellata da un violento temporale estivo che sorprende il Poeta nei dintorni di Ariano nel Polesine, bassa rodigina. Dante scorge la quercia, si arrampica sull’albero per scrutare l’orizzonte e finalmente ritrova la strada verso Ravenna. Pochi giorni dopo essere tornato a casa, Dante è colto da febbre alta e tosse (sembra cronaca di questi giorni) e un paio di settimane dopo muore, quasi sicuramente ucciso dalla malaria contratta nelle paludi. I secoli passano, tiglio e quercia sopravvivono al Poeta, ma nel giro di pochi decenni un incrocio di destini simili mette fine alla loro esistenza. In entrambi i casi l’ignoranza e l’incuria umana fanno morire gli alberi di Dante.

Il tiglio era scampato alla distruzione di gran parte del giardino scaligero, quando un secolo fa venne eretto il Palazzo delle Poste. Svettava proprio di fronte, era il luogo di ritrovo degli anziani e il punto di partenza della diligenza postale che da Verona raggiungeva Ostiglia. Negli anni ’60, per far posto al parcheggio, il tiglio secolare venne abbattuto, le sue radici sepolte sotto l’asfalto. La quercia, danneggiata da un fulmine nel 1976, aveva subìto due interventi di risanamento negli anni ’90 e nel 2000. Interventi purtroppo tardivi, perché il tronco dopo due decenni era ormai in parte essiccato, la chioma spaccata e sbilanciata, le radici compromesse… Nel 2013 la quercia crolla e muore. Le guide turistiche di Ippogrifo un mese fa avevano celebrato un matrimonio ideale tra i due alberi di Dante.

Avevano fatto in tempo a visitare la mostra celebrativa sulla quercia aperta a Rovigo a fine febbraio, e purtroppo subito chiusa per il coronavirus, omaggiando il fusto là esposto con un’immagine del tiglio e i versi finali del Paradiso. L’immagine è un omaggio che veniva, e verrà, consegnato ai partecipanti al Silent Dante, lo spettacolo interattivo e sensoriale prodotto dal Teatro Nuovo di Verona, che, coincidenza fortuita, sorge proprio di fronte a dove dimorava il tiglio. Anche quello spettacolo, il cui copione riprende e teatralizza la visita delle guide Ippogrifo e che doveva essere uno degli eventi del Dantedì, tornerà in scena appena terminata l’emergenza sanitaria, quando, tutti insieme, usciremo “a riveder le stelle”».

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