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Giovedì, 25 Aprile 2024
Cronaca Centro storico / Corso Porta Nuova

Verona, maxi contraffazione di vino da 28 milioni di euro. Un "wine kit" per produrre Valpolicella e Amarone

La truffa dei finti vini italiani Igp e Doc. La bevanda che recava i nomi dell'orgoglio veronese era preparata partendo da polverine solubili in acqua e commercializzato all'estero. Quattro denunce

Vino, i Nac di Parma scoprono una frode da 28 milioni di euro
Secondo i carabinieri del Nucelo anti frodi alla base del commercio ci sarebbe un'associazione per delinquere transnazionale, finalizzata alla produzione e alla commercializzazione internazionale del "Wine kit". Valpolicella, Amarone e Barolo tra gli altri. Tradotto significa che una banda organizzata di furfanti riusciva a produrre un surrogato di vino partendo da bustine di polveri solubili in acqua. Un giro d'affari accertato di oltre 28 milioni di euro messo in piedi da due società, una di Reggio Emilia e l'altra estera. Era quest'ultima a commercializzare il "kit" in tutto il mondo, evitando di sottostare alle normative europee e nazionali. Le indagini hanno permesso di accertare il ruolo di ciascuno dei quattro indagati con compiti ben precisi all'interno della società italiana teso, non solo a fornire la materia prima (mosto concentrato), bensì alla gestione delle operazioni di produzione nel suo complesso (fornendo tutto il necessario compreso le "ricette", le etichette ed i materiali per comporre i Wine Kit, nonché valutando anche i costi di produzione e curando tutti gli aspetti "manageriali") nonchè di commercializzazione all'estero.

I reati ipotizzati sono, appunto, di associazione per delinquere finalizzata alla frode in commercio, vendita di prodotti industriali con falisificazione delle etichette del Made in Italy, e contraffazione di Igp e Doc dei prodotti agro alimentari. In alcune confezioni erano riportate le effigi del tricolore italiano e del Colosseo. Le analisi svolte dai servizi Antifrode dell'Agenzia delle Dogane sui flussi commerciali di prodotto gestiti dalla società (originaria di Reggio) hanno tra l'altro consentito di evidenziare la portata della rete commerciale illegale. Oltre a quelli indicati è stato contestato il reato di "frode alle industrie nazionali".

A seguito di ciò, tenendo conto delle richieste avanzate dalla Procura di Reggio Emilia, il giudice ha emesso il divieto di esercitare la professione del commercio a carico di un imprenditore reggiano (amministratore unico della ditta emiliana e, nel contempo presidente di quella estera) e di una donna, italiana, direttrice generale della ditta estera. Tale misura, notificata nei giorni scorsi, impone il divieto dell'esercizio dell'attività di impresa per un periodo di due mesi due.

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