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Trigliceridi tra i fattori di rischio dell'infarto? Lo dimostra uno studio dell'UniVr

Lo dimostrano, per la prima volta, i risultati di una ricerca internazionale pubblicata sul New England Journal of Medicine: "La concentrazione dei trigliceridi che circola nelle nostre arterie dipende, innanzitutto dallo stile di vita e dalla dieta"

I trigliceridi annoverati tra i fattori di rischio nell’insorgenza dell’infarto. Lo dimostrano, per la prima volta, i risultati di uno studio internazionale pubblicato sul New England Journal of Medicine. La scoperta è stata fatta da Domenico Girelli, Nicola Martinelli e Oliviero Olivieri tre ricercatori del dipartimento di Medicina dell’università di Verona, al lavoro nel Verona Heart Study in collaborazione con l’università di Harvard e il Mit, Massachusetts Institute of Technology di Boston. Lo studio conferma l’università di Verona e l’Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata della città scaligera leader a livello internazionale nella ricerca sui geni implicati nella malattia cardiovascolare, “killer numero uno” nei paesi sviluppati.

Grazie all’analisi della sequenza degli esomi, porzioni del genoma che contengono le informazioni sulle proteine, dei pazienti in cura nel centro di ricerca scaligero, gli scienziati hanno identificato tre nuovi geni associati al rischio di sviluppare l’infarto: ANGPTL4, LPL, e SVEP1. In particolare, due dei tre geni individuati dai ricercatori, ANGPTL4 e LPL regolano il metabolismo dei grassi che circolano nel sangue e possono accumularsi nelle arterie coronarie formando placche che sono alla base dello sviluppo dell’infarto. A causarle, in questo caso, non è il colesterolo, ma i trigliceridi, il cui ruolo dannoso è rimasto a lungo incerto e controverso.
"La concentrazione dei trigliceridi che circola nelle nostre arterie – spiega Girelli - dipende, innanzitutto dallo stile di vita e dalla dieta. Una vita sedentaria e una dieta con troppi, grassi, dolci e alcol determinano un aumento pericoloso dei trigliceridi. Ora, grazie allo studio sappiamo che alcuni soggetti con mutazioni del gene LPL o con alterazioni a carico di proteine che ne controllano il metabolismo, tra cui ANGPTL4, sono particolarmente esposti al rischio di sviluppare un infarto. Allo stesso tempo abbiamo individuato, nei medesimi geni, alcune varianti protettive che diminuiscono il rischio di complicanze cardiovascolari". Per questo i ricercatori sono certi che la scoperta apre nuove prospettive in ambito terapeutico. “Mentre per il controllo del colesterolo - aggiunge Olivieri - abbiamo da tempo farmaci molto efficaci come le statine, l’abbassamento dei trigliceridi è più difficoltoso per la mancanza di trattamenti altrettanto efficaci e con pochi effetti collaterali. Anche grazie al risultato del nostro studio lo scenario cambierà a breve con l’introduzione di nuovi farmaci molto efficaci, che purtroppo, in fase iniziale, avranno costi molto elevati. Tuttavia, sulla base dei risultati che abbiamo ottenuto negli ultimi anni di ricerca stiamo lavorando alla messa a punto di test genetici a basso costo e di possibile ampio uso nella popolazione”.
“L’obiettivo a breve termine - prosegue Martinelli - è quello di individuare i pazienti a maggior rischio cui destinare tali trattamenti, distinguendoli da coloro che possono giovarsi di strategie meno costose, per garantire un approccio personalizzato che sia, allo stesso tempo, sostenibile per il Sistema Sanitario Nazionale”.

La ricerca è stata realizzata con il sostegno della Fondazione Cariverona.

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