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Cronaca

Pfas, Miteni nega di essere responsabile. Greenpeace chiede: "Chi paga?"

La proprietà dell'azienda di Trissino afferma di non essere mai stata a conoscenza delle analisi che hanno fatto scoppiare il caso e l'organizzazione ambientalista si domanda a chi tocchi sobbarcarsi i costi del risanamento

Al Ministero dell’Ambiente non risulta che la Giunta abbia consegnato progetti per la realizzazione delle nuove fonti acquedottistiche, nonostante quello che l'assessore Bottacin ha raccontando ai cittadini della zona rossa contaminata dai Pfas, in occasione dell'incontro del 6 settembre presso Palazzo Balbi. Dopo mesi di rimpallo delle responsabilità, Zaia e i suoi ora stanno raschiando il fondo del barile, tra affermazioni ambigue e vere e proprie fake news”.

È la consigliera regionale Cristina Guarda (AMP) a ritornare sul problema d'inquinamento che ha colpito le province di Vicenza, Verona e Padova. 

“Gli unici progetti che la Regione ha spedito al ministero a fine luglio sono quelli relativi all’accordo Fratta-Gorzone per la gestione dei fanghi delle concerie. Ma sul fronte dei Pfas e delle nuove fonti di acqua pulita, il ritardo si accumula, mentre il ministero dell'ambiente ribadisce la necessità di individuare i progetti per poter provvedere allo stanziamento degli 80 milioni disponibili.
Quello di Zaia e Bottacin è un atteggiamento irresponsabile ed intollerabile, specialmente perché mina la fiducia cercata con fatica da cittadiniche richiedonoanzitutto interventi celeri e trasparenza. È quantomai necessario e urgente - conclude Guarda - un confronto istituzionale tra Regione e Ministero”.

Nel frattempo il 15 settembre, presso la prefettura vicentina, si è tenuta l'audizione dell'amministratore delegato di Miteni, Antonio Nardone, da parte della commissione di Inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti e su illeciti ambientali ad esse correlati. La stessa azienda vicentina ha poi diffuso una nota dove ha spiegato gi sviluppi dell'incontro. 

I membri della Commissione avevano visitato ieri mattina (giovedì, ndr) per oltre due ore lo stabilimento di Trissino dove hanno voluto approfondire tutte le tematiche e in particolare quelle relative alla depurazione degli scarichi e alla bonifica della falda.

Ȓ stato mostrato sul campo l’'ingente lavoro di analisi e controllo dei terreni che si è svolto con la supervisione di Arpav nelle ultime settimane, dopo la diffusione del documento del Noe dei carabinieri. Da questi controlli non è emerso nulla di quanto prospettato in merito alla presenza di aree gravemente compromesse o rifiuti interrati all’'interno dello stabilimento. Un'affermazione che aveva portato i carabinieri ad accusare tutte le proprietà, fino a quella attuale, di essere a conoscenza di una situazione critica e di averla nascosta.

Nardone ha ribadito che la proprietà e gestione attuali non erano a conoscenza di quelle analisi, i cui risultati certamente non si trovavano nello stabilimento di Trissino ed erano stati commissionati della precedente proprietà, e mai portate conoscenza di quella attuale. L'’azienda peraltro ha realizzato nel 2013 campionamenti dei terreni con risultati del tutto diversi da quelli in possesso del Noe.

L’'amministratore delegato questa mattina (venerdì, ndr) ha consegnato i documenti che dimostrano come all’'inizio degli anni Novanta, l’'allora proprietà Mitsubishi avesse provveduto a una profonda bonifica dell’'area rimuovendo oltre 300 tonnellate di terreno. Pertanto i terreni interni allo stabilimento sono stati consegnati già vent’anni fa alle proprietà successive bonificati dai rifiuti.

Nardone ha poi presentato i dati sugli scarichi dell’'azienda da cui si rileva che tutte le emissioni rispettano addirittura i limiti per le acque potabili.

Queste le parole di Antonio Nardone al termine dell'audizione: "“È’ un atto di grande valore istituzionale che i parlamentari abbiano deciso di venire a conoscere direttamente la situazione. Una situazione che rispetto ai lavori svolti precedentemente dalla commissione è cambiata anche per una sentenza chiarissima del tribunale Superiore delle acque pubbliche che ha indicato nell'’intervento sulle decine di scarichi degli utilizzatori di Pfas la soluzione per affrontare il problema, mentre fino ad oggi ci si è concentrati solo su Miteni che in questa sentenza non è nemmeno citata. Nelle prossime settimane si conosceranno per la prima volta i dati su questi scarichi e dopo le doverose verifiche sono certo che lo scenario attuale e storico sulle cause dell’'inquinamento avrà connotati completamente diversi”.
“Questa proprietà di Miteni, subentrata nel 2009 - ha aggiunto Nardone - si sta facendo carico della superficialità dovuta a una diversa concezione della produzione che c'’era all’'inizio della storia industriale dello stabilimento. Questa gestione Miteni ha portato le emissioni ai livelli delle acque potabili e stiamo investendo risorse e persone per controllare e pulire la falda contaminata nel passato, ottenendo un risultato che supera il 99% di abbattimento. Posso affermare che Miteni oggi toglie dall’'ambiente ben più Pfas di quanti non ne immetta”".

Proprio su questo argomento è intervenuta anche Greenpeace, che il 22 settembre nella Sala San Leonardo a Venezia terrà una conferenza stampa dal titolo "Contaminazione Pfas in Veneto, chi paga?". Ecco la nota dell'organizzazione che spiega l'appuntamento. 

Da anni in una vasta area del Veneto è presente un grave inquinamento delle falde acquifere da Pfas (sostanze perfluoroalchiliche), tanto che Greenpeace ha inserito la regione tra i maggiori hotspot di contaminazione a livello globale.

Secondo uno studio del CNR, confermato poi da Arpav, la fonte principale d’inquinamento da Pfas è la Miteni SpA di Trissino (VI), ex Rimar, uno stabilimento chimico che produce composti fluorurati sin dagli anni Sessanta.

L’attuale proprietà di Miteni SpA ha più volte sostenuto di non essere responsabile per l'inquinamento da Pfas. La responsabilità sarebbe, eventualmente, delle gestioni precedenti e sarebbe comunque da condividere con altre industrie della regione.

E allora chi paga per il risanamento ambientale o per le richieste di risarcimento? Forse la holding lussemburghese International Chemical Investors SE che oggi controlla al 100 per cento la società?

Greenpeace presenta un nuovo rapporto, elaborato dall'istituto di ricerca indipendente olandese SOMO, in collaborazione con Merian Research (Berlino), che tenta di fare luce sull’assetto societario di Miteni e sulle possibilità di far sì che venga rispettato il principio “Chi inquina paga”.

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