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Orfani di femminicidio, convegno a Verona. «La loro tutela deve essere immediata»

Psicologi, psicoterapeuti, avvocati, psichiatri si sono confrontati sui fenomeni della violenza di genere e della violenza assistita all'interno delle famiglie

La violenza diretta o quella a cui assistono indirettamente i figli delle donne maltrattate, il percorso di sostegno psicologico offerto dai centri antiviolenza come forma di aiuto preventivo per non allungare il triste elenco dei minori orfani speciali: bambini e adolescenti che perdono entrambi i genitori: la mamma uccisa per mano del padre, che a volte decide di suicidarsi oppure finisce in carcere. Il convegno "Quello che i bambini (non) vedono. Dalla violenza assistita agli orfani speciali, il ruolo della psicologia per la tutela dei diritti di bambini/e e adolescenti", organizzato dall’Ordine delle psicologhe e psicologi del Veneto a Verona, ha approfondito i fenomeni della violenza di genere e della violenza assistita all’interno delle famiglie con l’obiettivo di offrire una visione a tutto campo di segnali, manifestazioni, effetti e conseguenze che coinvolgono le vittime. Un confronto tra psicologi, psicoterapeuti, avvocati, psichiatri che ha messo in luce il ruolo della psicologia nel percorso di sostegno delle donne vittime di violenza e degli orfani di femminicidi.

«I traumi complessi - ha spiegato Luca Pezzullo, presidente dell'Ordine regionale delle psicologhe e psicologi - come quelli tipici della violenza assistita, violenza intra-famigliare grave, femminicidi, sono esperienze che interrompono la linea biografica delle persone coinvolte che richiedono un dispositivo di cura complesso e interdisciplinare. In questi casi la cura è un dispositivo integrato che permetta di ripristinare queste integrità interrotte dall’esperienza traumatica».
«L'Ordine - ha spiegato la vicepresidente Fortunata Pizzoferro - rappresenta 11mila professionisti che operano in contesti dove potenzialmente possono incontrare donne vittime di violenza e minori vittime di violenza diretta o assistita: nelle scuole, nei centri antiviolenza, nei centri per uomini maltrattanti, nelle Ulss, e quindi riteniamo fondamentale che i nostri professionisti possano mantenersi costantemente aggiornati per riconoscere situazioni e gravità, che coltivino con occhio attento gli strumenti per poter collaborare con gli altri professionisti, con i tribunali, avvocati e tutte le figure che ruotano intorno ad un tema così delicato».

Foto sala convegno bimbi orfani

«Negli ultimi anni si è sempre più parlato di violenza assistita intrafamiliare, di cui le vittime sono i più piccoli - ha spiegato Gabriella Scaduto, psicologa, psicoterapeuta e presidente della Reti di psicologi per i diritti umani - Una violenza che si configura come una grave forma di maltrattamento all'interno di un contesto che dovrebbe invece garantire protezione, essere un luogo sicuro, una violenza che lascia lividi non solo sopra la pelle ma anche sotto, capace di creare di traumi importanti. Parlando di violenza assistita non possiamo non parlare di violenza sulle donne, di femminicidio e di chi rimane dopo, ovvero degli orfani speciali, termine coniato dalla da Anna Baldry, con il quale vengono indicati quelle bambine e quei bambini e adolescenti che sono rimasti orfani a seguito di un crimine domestico, orfani di madre perché uccisa ma anche di padre poiché suicida o in carcere. Abbiamo convenzioni di riferimento ratificate dall’Italia, leggi, ma anche il ruolo importante dello psicologo all’interno di un sistema di protezione, come professionista che può lavorare, tanto nella prevenzione quanto nell’intervento».

A Verona si è parlato di leggi e convenzioni: la Convenzione Onu sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza rappresenta lo strumento normativo internazionale di promozione e tutela dei diritti dei minori. C'è poi una legge che prevede l'assegnazione alle famiglie affidatarie di 300 euro al mese per ogni minore, borse di studio, orientamento e avviamento al lavoro, sgravi fiscali per chi assume, rimborso delle spese mediche e sostegno psicologico.
Ma Giuseppe Delmonte, che al convegno di Verona ha portato la sua testimonianza di orfano di femminicidio, ha raccontato la sua battaglia, perché il vuoto istituzionale vissuto da quando lui e dai suoi fratelli dopo 26 anni dalla tragedia non è ancora del tutto colmato. «Quando mio padre ha ucciso mia madre ed è finito in carcere - ha raccontato Giuseppe Delmonte - mi aspettavo che le istituzioni mi chiedessero se avevo bisogno di supporto, se riuscivo a mantenermi, la nostra vita era completamente stravolta ma dallo Stato non ho ricevuto nulla. Lo psicologo me lo sono pagato di tasca mia e dopo 20 anni dall’accaduto, perché prima non riuscivo nemmeno a parlarne. Anche oggi l’intervento per la tutela dell’orfano di femminicidio non scatta nell’immediatezza. Le istituzioni devono intervenire il giorno stesso. La legge ha dato la possibilità di erogare i fondi previsti a 16 famiglie in tutta Italia, 300 euro al mese. Praticamente nulla. Come è possibile stanziare fondi se non è stato mai fatto un censimento degli orfani di femminicidio? Ma non basta, l’orfano di femminicidio per avere questo sussidio deve fare domanda alle istituzioni, altrimenti non esiste.».

Nel corso dell’incontro sono state approfondite le informazioni di carattere legislativo e delle specifiche conoscenze e competenze psicologiche richieste ai professionisti per intervenire a tutela dei minori con vissuti di violenza ed essere di supporto alle famiglie che si prendono cura di loro. Il vissuto dei bambini e delle bambine che subiscono la violenza (diretta, indiretta, assistita), degli orfani e delle orfane, così come quelli delle famiglie affidatarie, richiedono competenza, esperienza e conoscenza approfondita delle criticità specifiche. «I bambini e le bambine orfane di crimini domestici già hanno subito un trauma - ha spiegato Paola Medde, psicologa e psicoterapeuta co-fondatrice de Il Giardino Segreto - pertanto è importante che coloro i quali si occuperanno del post femminicidio siano guidati e supportati perché dovranno svolgere la funzione dei caregiver di questi bambini. Vanno seguiti perché essi stessi sono traumatizzati perché spesso l’affido viene dato all’interno della famiglia, con nonni e nonne che a loro volta hanno perso la figlia e sono quindi coinvolti nel lutto traumatico. Dobbiamo rafforzare i caregiver poiché possano diventare una risorsa per questi bambini: assistenza psicologica, orientamento, la modalità di comunicazione in un contesto di lutto, i problemi che incontrano i famigliari quotidianamente, in modo tale da alleggerire il carico. Fondamentale la formazione a tutti gli specialisti che prenderanno in carico gli orfani; molti di loro non hanno avuto questo aiuto, altri sono stati accolti da personale che non aveva competenze di femminicidio. Per quanto riguarda il ruolo delle famiglie affidatarie, raramente diventano adottive e il legislatore privilegia l’affidamento intra-famigliare che può essere una buona soluzione poiché conserva il diritto del bambino di rimanere all’interno della famiglia».

Nel 2023, 436 donne hanno contattato il centro antiviolenza di Verona "Petra" e 237 hanno effettuato un primo colloquio. Di queste circa l'80% ha costruito, assieme alle operatrici (psicologhe e assistenti sociali) un percorso di uscita dalla violenza. Oltre ai nuovi casi che hanno avuto accesso, al centro per la prima volta nel corso dell'anno, al centro sono state seguite nel sostegno sociale o psicologico 333 donne già prese in carico negli anni precedenti. Nell'ottica della messa in protezione nel 2023 sono state accolte: in emergenza 21 donne con 17 figli minori, e con progettualità a lungo termine presso la casa rifugio 7 donne con 2 minori. In tutti i nuclei accolti, sia in emergenza sia in casa rifugio, si è potuto constatare che i minori erano vittime di violenza assistita. «Noi proteggiamo le donne non solo mettendole in sicurezza - ha spiegato Debora Canton, psicologa del centro antiviolenza Petra - ma anche comprendendo il funzionamento psicologico della vittima che dovrebbe proteggere i figli e talvolta non accade. I centri antiviolenza fanno un lavoro di prevenzione importante rispetto ai femminicidi. Mettiamo in primo piano la protezione nei confronti delle vittime. Una protezione dell’incolumità fisica. In seconda battuta la costruzione con la donna vittima di violenza di un progetto consapevole di uscita dalla violenza. Dobbiamo, come operatori dell’antiviolenza, a maggior ragione noi psicologi, conoscere e comprendere la dinamica violenta e il funzionamento psicologico della vittima. La donna vittima di violenza che è anche madre vive un doppio peso. il nostro ruolo non può essere giudicante; deve tutelare la vittima e aiutarla a recuperare le risorse e le capacità. Quando scatta la violenza che mette in pericolo la vita, la mente mette un atto dei meccanismi per sopravvivere: il tentativo di abbassare la tensione; giustificare colui che agisce violenza; minimizzare; e quando ci sono dei figli, far sì che non contribuiscano ad aumentare la tensione. In alcuni casi ci è capitato di ascoltare i racconti di donne che provano a difendere i propri figli ma per questo vengono aggredite anche loro e di conseguenza eviteranno di farlo per questa ragione. Al centro antiviolenza Petra i percorsi di sostegno psicologico aiutiamo le donne a riconoscersi come vittime, a nominare la violenza, a rivedere gli eventi violenti, a realizzare, prima idealmente e poi concretamente, un progetto di uscita consapevole».

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