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Cronaca

Operazione Black Money: "giro" da 75 milioni e 81 indagati per riciclaggio

L'operazione è partita da alcuni strani movimenti notati dai carabinieri della stazione di Cerea presso l'ufficio postale del paese, che hanno portato poi gli investigatori ad individuare un sistema fraudolento che ingannava l'Erario

Un giro di denaro da circa 75 milioni di euro e presunte responsabilità penali per 81 persone, con capi d'accusa individuati nel riciclaggio e autoriciclaggio di denaro, sono emersi dall'operazione Black Money, condotta dai carabinieri della Compagnia di Legnago, con il supporto dei colleghi del Comando provinciale di Verona, dei militari di Brescia, Mantova e Bergamo, oltre all'ausilio della guardia di Finanza di Legnago. Al 13 marzo, sono 2 le persone che risultano essere state condotte in carcere, mentre altre 10 si trovano agli arresti domiciliari e 205 mila euro sono stati sequestrati nel corso dell'attività. 

Operazione Black Money: 81 indagati per riciclaggio di denaro

Il sistema

A far scattare le indagini sono stati i movimenti sospetti notati dai carabinieri della stazione di Cerea nel novembre 2016 presso l'ufficio postale del paese, dove numerose persone prelevavano somme inferiori ai 3 mila euro, per le quali quindi non scattava la segnalazione alle autorità. Sono partite così una serie di attività di pedinamento, osservazione ed analisi tecniche, da parte dei militari del Nor di Legnago, che hanno permesso loro di risalire a 6 cooperative, costituite da circa 1300 soci-dipendenti, con sede legale a Milano e attive a Bergamo, che tramite un articolato e fraudolento meccanismo di false fatturazioni eseguito con la complicità di società fittizie, avrebbero ingannato l'Erario, ottenendo falsi crediti nei suoi confronti, che successivamente sarebbero stati compensati con i tributi Inps, i quali, in un contesto di legittimità, erano dovuti per i servizi forniti dai lavoratori a società ignare, che li utilizzavano regolarmente. 
In sostanza, ha riferito l'Arma, le cooperative (impegnate in settori come la macelleria, il facchinaggio, l'ecologia e l'edilizia) lavoravano anche con società fittizie definite "cartiere", in quanto esistevano solo sulla carta, spesso senza una sede (in un caso si trattava di un container) e con a capo un prestanome, con le quali venivano emesse fatture dai costi elevati, che servivano ad ottenere poi il rimborso d'imposta e compensare i contributi previdenziali: queste infatti, tutto ciò che ricevevano, poi lo versavano interamente nel sistema. 

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I prelievi

Gli indebiti guadagni ottenuti, sarebbero stati quindi versati sui conti di società di "comodo", oltre alle precedenti cartiere, che erano attive sul mercato con del personale e una sede legale, le quali utilizzavano una fitta rete di persone, i "prelevatori", per "pulire" il denaro. Versati infatti sui alcuni conti correnti, i soldi  venivano tirati fuori e consegnati da questi a dei "capi squadra", che si occupavano di prenderli in consegna e farli arrivare ai due amministratori di fatto finiti poi in carcere. In questo modo sarebbero stati prelevati dagli uffici postali di Verona, Brescia e Bergamo, circa 37 milioni di euro, mentre 38 milioni sarebbero stati spediti all'estero tra Cina, Croazia, Ungheria e Malta. 

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Tutto questo, stando ai risultati ottenuti e diffusi dai carabinieri, si sarebbe messo in moto ad ogni commessa o appalto privato che le cooperative si aggiudicavano da società ignare di questo sistema fraudolento, che permetteva loro di offrire gli stessi servizi di altre imprese ad un costo minore, alterando quindi il regime di concorrenza leale e lo stesso mercato, proponendo della manodopera che di fatto risultava essere a basso costo. In tutto questo, le cartiere sarebbero state gestite principalmente dai capi squadra, i quali venivano pagati con il 2.5% delle cifre versate, mentre i prelevatori godevano di uno "stipendio" di 50 euro al giorno
In questo modo sarebbe stato perfezionato il sistema di riciclaggio e autoriciclaggio, finito del mirino delle forze dell'ordine, entrate poi in azione su richiesta del Pm Zanotti accolta dal Gip Gorra. 

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Gli arresti

Sono stati controllati 61 conti correnti bancari e postali riconducibili alle cosiddette cartiere e alle persone che risulterebbero a loro collegate, dai quali sarebbe emerso in maniera evidente un sistema collaudato e consolidato nel tempo, guidato da persone che cercavano di rendersi il meno visibili possibile, cambiando spesso anche i connotati delle cooperative, che praticamente mantenevano solamente i dipendenti. 
In tutto, le società di comodo, o compiacenti, rilevate dai militari sarebbero 13, mentre 18 sarebbero le cartiere

Una volta acquisiti tutti gli elementi al termine dell'attività investigativa, i primi arresti sono scattati il 21 febbraio nei confronti di: L.A., uomo classe 1968 di origini calabresi ma residente ad Erbusco, nel Bresciano, con alle spalle precedenti; e Z.B., uomo classe 1957 residente a Sarnico, in provincia di Bergamo. Il primo è ritenuto il vero amministratore delle 6 cooperative e l'altro il gestore di alcune delle società "cartiere": due «disoccupati con una vita lussuosa», come li hanno definiti gli stessi carabinieri nel corso della conferenza stampa, che avrebbero comandato questo sistema, eseguendo tutte le operazioni necessarie in home banking. 
Lo stesso giorno le forze dell'ordine hanno eseguito anche 17 perquisizioni, che hanno portato al sequestro di oltre 130 mila euro, oltre a convincerle del coinvolgimento degli altri 10 individui, per i quali sono scattati gli arresti domiciliari il 12 marzo. Si tratta di: P.A., classe 1985 italiano; L.P.A., donna classe 1978 italiana; V.P., italiano classe 1953; M.M., classe 1970 italiano; Q.G., classe 1945 italiano; M.G., classe 1965 italiano; Q.F., classe 1969 italiano; M.C.B., classe 1970 italiano; Q.F., 1972 italiano; H.J., donna classe 1980 cinese. Quest'ultima è finita al centro degli accertamenti della guardia di finanza di Legnago, che ha individuato un grande flusso di denaro verso il suo paese d'origine e aprirà un'inchiesta sull'intera vicenda. 
Tra gli arrestati finiti ai domiciliari, 4 risultano residenti nel Veronese, per la precisione nella zona della Bassa, mentre gli altri sono stati individuati nel Bresciano e nel Bergamasco. 

I carabinieri hanno definito questo sistema un «fenomeno molto complesso, che si insinua nel tessuto sociale ed imprenditoriale italiano, influenzando il mercato del lavoro».
Tra gli 81 indagati per riciclaggio sono presenti i 12 arrestati, dei quali solamente i 2 finiti nelle carceri di Brescia e Bergamo dovranno rispondere di autoriciclaggio. Tra i restanti 69, risultano nel mirino dei carabinieri anche i prestanome delle società fittizie, oltre a tutti colori che avrebbero collaborato con esse e le cooperative. 

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