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Venerdì, 29 Marzo 2024
Cronaca Borgo Trento / Piazzale Aristide Stefani

«Il citrobacter mio figlio lo ha preso a Borgo Trento, non a San Bonifacio»

Il caso del bimbo lesionato dal batterio aveva fatto sorgere il dubbio che anche il Fracastoro fosse coinvolto in questa triste vicenda. Dubbio che però non ha la madre del piccolo

Verità. È ciò che chiedono tutti sul «caso citrobacter» dell'ospedale di Borgo Trento, a Verona. In particolare, però, la chiedono i genitori dei bambini morti o lesionati dopo essere stati infettati da un batterio subdolo e insidioso. Un batterio che ha costretto l'ospedale più importante del territorio scaligero a chiudere il suo punto nascite e a trasferire le terapie intensive pediatriche e neonatali. Un batterio che ha messo al lavoro delle commissioni dell'azienda ospedaliera e della Regione Veneto proprio per far luce su quanto è successo in questi due anni. Per trovare la verità, appunto.

E di una verità è convinta la madre di un bambino infettato dal citrobacter l'anno scorso. È il bimbo nato a San Bonifacio e trasferito poi a Borgo Trento, la cui storia ha fatto sorgere il sospetto che anche il Fracastoro fosse coinvolto in questa triste vicenda. Il direttore generale dell'Ulss 9 Scaligera Pietro Girardi ha negato che ci siano state infezioni da citrobacter nell'ospedale di San Bonifacio e di questo è convinta anche la mamma del piccolo che purtroppo ha riportato serie disabilità a causa dell'infezione.
A Camilla Ferro de L'Arena, la donna ha raccontato la sua verità. Anche lei è convinta che l'infezione da citrobacter non sia avvenuta a San Bonifacio, ma sia avvenuta a Borgo Trento. Il suo piccolo aveva contratto un'infezione al Fracastoro, ma non da citrobacter. Quel batterio lo avrebbe contratto a Verona. Quel maledetto batterio che lo costringe ad una fisioterapia continua e che lo ha portato tre volte sotto i ferri per degli interventi al cervello.
La mamma del piccolo che da poco ha compiuto un anno è infastidita da questo tentativo di scaricabarile e vorrebbe che tutti raccontassero la verità. Non perché questo le ridarà un figlio sano, né farà tornare in vita i tre bimbi uccisi dal batterio-killer, ma per un sacrosanto principio di rispetto. Rispetto verso chi ha perso un figlio. Rispetto verso chi dovrà affrontare un futuro pieno di incognite a causa della disabilità. Insomma, il rispetto per le vere vittime di questa tragica storia. Un rispetto che si può dimostrare solo in un modo: raccontando la verità.

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