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Cronaca Centro storico / Piazza Bra

Il post Facebook del sindaco Sboarina sulle foibe rimosso a causa di una fotografia

Storia di una fotografia e del suo uso che rovescia vittime e carnefici. Sergio Mattarella: «È dal riconoscimento reciproco che riparte il dialogo e l’amicizia, tra le persone e le culture»

Oggi è il 10 febbraio 2021 e come ogni anno dopo la sua istituzione con legge del 30 marzo 2004 n. 92, si celebra il "Giorno del Ricordo". Si tratta, per dirla con le neutre parole di un'enciclopedia, «di una solennità civile nazionale italiana che ricorda i massacri delle foibe e l'esodo giuliano dalmata». Una pagina sicuramente triste del nostro Paese che, doverosamente, va ricordata e studiata al pari di numerose altre che, purtroppo, costellano la nostra storia nazionale. Tuttavia, spesso accade che il "Giorno del Ricordo" assuma una connotazione politica nel senso più becero di questa parola. L'abominio intellettuale giunge, nei casi più estremi ed esecrabili, al punto da lasciar sorgere sullo sfondo quasi una divisiva contrapposizione tra due giornate istituzionali che dovrebbero invece unire gli esseri umani in una condivisa consapevolezza affinché certe cose non si ripetano: il 27 gennaio "Giorno della memoria" da una parte e, dall'altra, appunto il "Giorno del Ricordo". I cattivi nazifascisti da una parte e i cattivi comunisti dall'altra, quasi che la cattiveria dei secondi possa in un certo senso ridimensionare la violenza dei primi (o viceversa), quindi parzialmente assolverla, renderla comune a fazioni umane avverse, perciò ordinaria e, dunque, persino un po' più accettabile. 

Le parole del presidente della Repubblica Sergio Mattarella pronunciate quest'oggi, evidenziano al contrario quale sia il senso più autentico del voler mantenere una memoria condivisa e non divisiva, capace di non cedere alla tentazione di riduzionismi o, peggio, negazionismi, sia in un senso come nell'altro:

«Le sofferenze, i lutti, lo sradicamento, l’esodo a cui furono costrette decine di migliaia di famiglie nelle aree del confine orientale, dell’Istria, di Fiume, delle coste dalmate sono iscritti con segno indelebile nella storia della tragedia della Seconda Guerra Mondiale e delle sue conseguenze. Nel "Giorno del Ricordo", che la Repubblica ha voluto istituire, desidero anzitutto rinnovare ai familiari delle vittime, ai sopravvissuti, agli esuli e ai loro discendenti il senso forte della solidarietà e della fraternità di tutti gli italiani. I crimini contro l’umanità scatenati in quel conflitto non si esaurirono con la liberazione dal nazifascismo, ma proseguirono nella persecuzione e nelle violenze, perpetrate da un altro regime autoritario, quello comunista». 

Come si può ben notare, il capo dello Stato Sergio Mattarella non si esime dal riconoscere l'autoritarismo del regime comunista, ma il senso delle sue parole, cioè la loro direzione, non è affatto quella di creare fratture, istituire solchi tra fazioni politiche opposte, livellando le differenze storiche tra eventi disastrosi e drammatici, implicitamente rischiando di assolvere violenze che meritano una severa condanna storica. Al contrario, il discorso politico (questa volta nell'accezione più alta di questa parola) del presidente della Repubblica Sergio Mattarella ci indica un'altra via, vale a dire quella della "memoria comune", cioè con-divisa e non al contrario divisiva:

«Le sofferenze patite non possono essere negate. - afferma il presidente della Repubblica Sergio Mattarella - Il futuro è affidato alla capacità di evitare che il dolore si trasformi in risentimento e questo in odio, tale da impedire alle nuove generazioni di ricostruire una convivenza fatta di rispetto reciproco e di collaborazione. Ogni comunità custodisce la memoria delle proprie esperienze più strazianti e le proprie ragioni storiche. È dal riconoscimento reciproco che riparte il dialogo e l’amicizia, tra le persone e le culture».

A Verona quest'oggi bisogna registrare un piccolo "incidente social" che ha visto protagonista il sindaco Federico Sboarina. Si tratta verosimilmente di uno scivolone casuale che nulla ha a che fare con la volontà di dividere invece che unire dinanzi alle sofferenze storiche. Ne siamo sinceramente convinti e non potrebbe essere diversamente dinanzi ad una figura istituzionale quale quella che il primo cittadino scaligero incarna. Cionondimeno è interessante parlarne, poiché si tratta di episodi non nuovi anche a livello di altre amministrazioni italiane (sia di destra che di sinistra!) e che, con l'avvento dei social, hanno trovato ovviamente una sempre più ampia diffusione. Un ricercatore in storia contemporanea, Federico Tenca Montini, in un contributo di qualche anno fa pubblicato su Internazionale parlava al riguardo di «estetica dell'appiattimento», notando la sempre più vasta diffusione, specie sul web, della pratica disinvolta che vede l'utilizzo di fotografie storicamente decontestualizzate per descrivere crimini e violenze che nulla hanno a che vedere con quanto raffigurato in quelle immagini. Scriveva Federico Tenca Montini:

«Le fotografie sono usate in maniera indifferenziata: i profughi francesi che scappano dai nazisti diventano esuli istriani, immagini di fosse comuni naziste valgono per l’holodomor (la grande carestia ucraina del 1929-1933)». 

Tra queste immagini fuori contesto che valgono per la violenza espressa indipendentemente dal loro referente storico, attraverso un uso che mina al fondo la valenza testimoniale delle immagini, ve n'è una abbastanza celebre che riguarda proprio il capitolo delle "foibe" e la cosiddetta "vicenda del confine orientale". Si tratta di una scena di fucilazione costruita su due distinti piani, quello di chi spara e quello di chi riceve le pallottole, i carnefici e le vittime. Il primo a "sparare", to shoot a photo, è proprio il fotografo, giungendo quasi ad integrare il suo sguardo (e dunque il nostro di spettatori) a quello del plotone d'esecuzione, costruendo un'inquadratura semi-soggettiva. L'occhio del fotografo è infatti posto in prossimità dietro alle sette figure (delle quali una fotografata a metà) di uomini vestiti in divisa che, spianando i loro fucili, si apprestano a giustiziare altri cinque uomini. Questi ultimi si trovano in profondità di campo disposti di schiena al centro dell'inquadratura e in abiti borghesi, tre di loro indossano un cappello, il secondo da sinistra ritrae leggermente il collo tra le spalle: gesto irriflesso in attesa del colpo. Uno strano destino, nonostante certo non manchino dolorose fotografie autentiche di "infoibati", ha fatto sì che questa immagine sia divenuta negli anni virale in rete, ma utilizzata anche sui giornali, per illustrare la violenza dei carnefici slavi contro le vittime italiane delle "foibe". Proprio in tal senso è stata recuperata tale fotografia quest'oggi dal profilo Facebook del sindaco di Verona Federico Sboarina che l'ha pubblicata accompagnandola con queste parole: 

«Oggi onoriamo e commemoriamo migliaia di nostri connazionali, vittime delle foibe e dell’esodo istriano, fiumano, dalmata. La loro unica colpa era di essere italiani. Le atrocità e gli eccidi compiuti dai partigiani titini sono stati per troppi anni colpevolmente e volutamente dimenticati. Il nostro dovere quotidiano è quello di trasmettere, specialmente ai giovani, il ricordo di quanto accaduto in quegli anni. Una pagina drammatica della storia nazionale».

Post Facebook sindaco Federico Sboarina 10 febbraio 2021 Giorno del Ricordo

Il post Facebook del sindaco Federico Sboarina pubblicato e poi rimosso - 10 febbraio 2021

In realtà l'immagine utilizzata dal sindaco scaligero fa parte della raccolta fotografica del "Muzej novejše zgodovine Slovenije", vale a dire il Museo nazionale di storia contemporanea a Lubiana, capitale della Slovenia. Di questa fotografia, il cui numero d'archivio è "11818", si sanno diverse cose: non solo che è stata scattata il 31 luglio 1942, ma anche il luogo dello scatto, cioè il Comune di Loška Dolina nella Slovenia meridionale e, cosa più importante, si conoscono i nomi dei cinque uomini che appaiono in secondo piano, di spalle e in attesa della fucilazione. Questi ultimi sono Franc Znidaršic, Janez Kranjc, Franc Škerbec, Feliks Znidaršic ed Edvard Škerbec, cinque abitanti del paese di Dane, i quali secondo le ricostruzioni storiche sarebbero stati presi in ostaggio dai soldati italiani alcuni giorni prima. Chi imbraccia i fucili e si appresta a sparare nella fotografia, infatti, sono dei militari italiani, mentre i fucilati sono dei contadini sloveni. 

Il critico fotografico Michele Smargiassi aveva dedicato a questa foto un interessante articolo nel marzo del 2012, dal titolo "Non dire falsa testimonianza", nel quale si citano numerosi altri esempi di utilizzo dal senso rovesciato di questa immagine, tra i quali anche quello fatto dalla Rai durante una trasmissione molto nota al grande pubblico. Già il 29 febbraio 2012, inoltre, l'allora presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ricevette una lettera firmata da Miro Mlinar, presidente dell’Associazione dei combattenti per i valori della lotta di liberazione nazionale di Cerknica, nella quale si recriminava contro l'uso capovolto dell'immagine (con toni peraltro abbastanza duri). Quest'oggi, il sindaco di Verona Federico Sboarina, poco dopo che alcuni utenti del web hanno notato la cosa, si è prontamente adoperato per porre rimedio all'utilizzo rovesciato della fotografia suddetta, riproponendo il suo messaggio per il "Giorno del Ricordo" accompagnandolo ad un'immagine forse meno sensazionalistica, ma certamente molto più corretta.

Post Facebook. corretto Federico Sboarina - 10 febbraio 2021

Post Facebook corretto Federico Sboarina - 10 febbraio 2021

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