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Cronaca Borgo Trento / Via XXIV Maggio

Demenza senile: medici di famiglia a scuola per migliorare diagnosi e cura

Il progetto di formazione itinerante "Piano Nazionale Demenze, nuovi scenari di cura", partirà da Verona il 13 e 14 maggio con l'obiettivo di "educare" i dottori a un corretto approccio diagnostico-terapeutico al problema

ll progressivo invecchiamento della popolazione ha comportato un sensibile aumento dei disturbi cognitivo-comportamentali di natura neurodegenerativa, destinati ad acquisire in futuro sempre più rilevanza. Tra le sindromi psichiatriche più comuni vi sono le demenze: con una prevalenza del 5-8% negli over 65, colpiscono 1,2 milioni di italiani e, in circa il 15-25% dei casi, possono associarsi a depressione.
Nella presa in carico del malato di demenza, dal riconoscimento dei primi sintomi al trattamento a lungo termine, il Medico di famiglia è una figura cruciale all’interno della rete integrata di servizi sul territorio. A lui è dedicato il progetto di formazione itinerante “Piano Nazionale Demenze, nuovi scenari di cura”, che partirà da Verona il 13 e 14 maggio. Promossa dall’Associazione Italiana Psicogeriatria con il grant incondizionato di Angelini, azienda da anni impegnata a tutela della salute mentale nell’anziano, l’iniziativa prevede un ciclo di 13 eventi ECM locali in 13 Regioni italiane, da maggio a novembre. Obiettivo: raggiungere oltre 650 Medici di Medicina Generale, ai quali presentare i contenuti e le finalità del recente Piano Nazionale Demenze, per “educarli” a un corretto approccio diagnostico-terapeutico al problema. Al primo evento, che si svolgerà presso la città scaligera, parteciperanno 50 Medici di famiglia provenienti da tutto il Veneto ma anche dal Friuli e dal Trentino Alto Adige.

Le demenze sono sindromi cerebrali degenerative che colpiscono la memoria, il pensiero, il comportamento e la capacità di svolgere le attività quotidiane. Il loro carattere progressivo rende necessaria una diagnosi tempestiva, che consenta di attivare interventi farmacologici e psico-sociali volti a rallentare l’evoluzione della malattia e contenerne i disturbi specifici. Partendo da queste considerazioni e dalla volontà di combattere lo stigma che spesso accompagna tali malattie, il 30 ottobre 2014 è stato approvato l’accordo tra Stato e Regioni sul documento "Piano Nazionale Demenze” che, puntando a una gestione integrata e multidisciplinare del problema, intende fornire indicazioni strategiche per migliorare e uniformare la qualità dell’assistenza erogata in Italia: dalle terapie specialistiche al sostegno e all'accompagnamento del malato e dei caregiver, durante tutto il percorso di cura. In questo complesso scenario si colloca l’operato del Medico di famiglia, fondamentale per l’applicazione degli obiettivi del Piano, in collaborazione con lo specialista.

“La complessità della sfida alle demenze e la loro crescita esponenziale, legata all’aumento dell’aspettativa di vita, rendono necessario strutturare sul territorio interventi assistenziali appropriati e precoci, che richiedono un’adeguata preparazione da parte del personale sanitario”, spiega Marco Trabucchi, Presidente dell’Associazione Italiana Psicogeriatria. “Il Piano Nazionale Demenze costituisce il primo tentativo di dare al nostro Paese una guida unitaria per affrontare una priorità mondiale di salute pubblica: è un punto di partenza di grande significato, perché coinvolge gli operatori a tutti i livelli, comunicando ai cittadini un impegno diffuso da parte della comunità. Per questo motivo, l’Associazione Italiana Psicogeriatria intende dar vita a un’intensa attività formativa, volta a presentare il Piano ai Medici di Medicina Generale, aumentare la loro consapevolezza sul problema demenze e coinvolgerli nella rete assistenziale integrata, dove rappresentano una figura centrale: sono infatti il primo riferimento sul territorio per il paziente e i caregiver. Il loro ruolo è essenziale per riconoscere tempestivamente i sintomi, portare la famiglia alla coscienza del bisogno di un intervento, intercettare i casi da avviare ai Centri specialistici e supportare l’assistito e i suoi familiari lungo tutta la storia naturale della malattia, in un percorso condiviso con lo specialista”.

Sono circa 80.000 i casi attuali di demenza in Veneto e in futuro aumenteranno, trattandosi di una patologia strettamente legata all’invecchiamento della popolazione”, dichiara lo psichiatra Claudio Vampini, Presidente Sezione Triveneto dell’Associazione Italiana Psicogeriatria, Responsabile del 2° Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura (SPDC) dell’Ospedale Civile Maggiore di Verona e Docente presso l’Università di Verona. “Da qui si comprende l’importanza del corso formativo che organizzeremo nei prossimi giorni a Verona. Il nostro obiettivo è diffondere la conoscenza del Piano Nazionale Demenze sul territorio e far sì che i Medici di famiglia siano pienamente consci del loro compito fondamentale nelle fasi di diagnosi precoce, gestione globale e trattamento a lungo termine dei pazienti con demenza, non solo sul fronte dei sintomi cognitivi ma anche dei frequenti disturbi comportamentali, come deliri, depressione, agitazione e aggressività”.

Ma quali specifiche problematiche occorre affrontare in Veneto, nell’assistenza ai malati e alle loro famiglie? “Il Veneto è stata una delle prime Regioni italiane a recepire formalmente il Piano Nazionale Demenze e avviare un programma di iniziative per migliorare la presa in carico e la cura di questi pazienti”, prosegue Vampini. “Il primo provvedimento è stato approvato dalla Giunta Regionale con la DGR 653 del 28 aprile 2015. La nostra Rete per l’Alzheimer e le demenze ha un potenziale bacino di utenza di 90.000 persone. Prima di entrare in una struttura residenziale extraospedaliera, il paziente è seguito dai Centri per Disturbi Cognitivi e Demenze (CDCD), dove operano specialisti neurologi, geriatri, psicologi e infermieri. Vi è tuttavia una notevole disparità nella composizione dei team multidisciplinari: solo in 14 Centri su 42 si trovano tutte le figure professionali previste. Inoltre, nel clima diffuso di restrizione di risorse, alcune figure di supporto spesso sono precarie e non vi è turnover di personale. Va da sé che le prestazioni erogate dalla rete assistenziale risentano, a livello quantitativo e qualitativo, di queste difformità e carenze; ciò rappresenta probabilmente il nodo più importante da risolvere”.

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