Caso Pfas, Studio 3a chiede lumi direttamente a Miteni, ma invano
Nessuna risposta da parte dell'azienda di Trissino ad una semplice richiesta di incontro per dirimere le preoccupazioni dei residenti. Chi tace "acconsente"?
Perché non andare direttamente alla presunta "fonte" dei Pfas? Questa la considerazione che ha spinto Studio 3A a scrivere direttamente a Miteni, l'azienda di Trissino additata da più parti come la responsabile dell'inquinamento da sostanze perfluoroalchiliche nelle falde di mezza regione. Una lettera in cui la società specializzata a livello nazionale nella valutazione delle responsabilità civili e penali, a tutela dei diritti dei cittadini, e molto attiva proprio sul fronte del danno ambientale, chiedeva ai vertici della multinazionale semplicemente un incontro per fugare i (tanti) dubbi e patemi d'animo dei propri assistiti, ma che non ha sortito alcun effetto: dall'altra parte, infatti, un silenzio "inquietante".
Studio3A si è interessato da subito alla grave problematica di inquinamento dell'acqua verificatosi soprattutto nelle province di Vicenza e di Verona e sta seguendo i casi di una quindicina tra famiglie e attività dell'area individuata dalle autorità come soggetta ad alto rischio ambientale a causa della contaminazione, le quali, attraverso i consulenti personali Linda Mazzon, Simone Pinton e Carmine Romano, si sono rivolte agli esperti dell'azienda con lo scopo di fare chiarezza e di ottenere giustizia.
"I nostri assistiti sono preoccupati e angosciati per le notizie emerse negli ultimi mesi - spiega Studio 3A nella lettera che il 30 maggio è stata inviata a Miteni, e per conoscenza anche alla Regione Veneto, all'Arpav e all'ospedale civile di Padova - A seguito di avvisi e ordinanze emesse dal proprio Comune di residenza, e non solo, nonché dell'incessante e quotidiano clamore mediatico sulla vicenda, queste persone stanno vivendo ogni giorno con la paura e il dubbio che la loro salute, bene primario e tutelato dalla Costituzione, possa essere messa in pericolo dall'inquinamento dilagante del territorio in cui vivono da decenni e hanno cresciuto o stanno crescendo i figli e i nipoti". Se infatti il danno biologico è ancora da accertare con esattezza, quello esistenziale si è già profilato in tutta la sua evidenza.
Nella lettera, peraltro, non si colpevolizza nessuno. Si prende atto che, da quanto emerge dalle notizie di stampa, dalle inchieste di natura giudiziaria e dai numerosi provvedimenti delle pubbliche amministrazioni atte a contenere i rischi per la popolazione, "sembra che una possibile causa di quanto sta avvenendo da anni in questo vasto territorio compreso tra l'alto Vicentino, Legnago e Montagnana, e dell'inquinamento delle falde e quindi dell'acqua potabile, possa essere addebitabile alla vostra attività produttiva e a sostanze che sono parte integrante delle lavorazioni effettuate nel vostro stabilimento". Ma si riportano anche le precisazioni fatte a mezzo stampa da Miteni, secondo cui "lo stato di inquinamento potrebbe essere riconducibile anche ad altre cause, quali ad esempio le attività di conceria presenti in zona".
"Negli ultimi mesi, a fronte dei risultati delle indagini sanitarie, le preoccupazioni di queste famiglie hanno raggiunto livelli tali da portarli a cercare qualsiasi tipo di risposta oggettiva che possa aiutarli a superare questo patimento - spiega il dott. Ermes Trovò, Presidente di Studio 3A - Di qui la nostra decisione di scrivere proprio a Miteni per chiedere un incontro chiarificatore e discutere meglio e in maniera più compiuta del problema, confidando in questo modo di poter in qualche modo dirimere o attutire i dubbi e le preoccupazioni che hanno stravolto la vita dei nostri clienti".
"Il nostro obiettivo - conclude amaro il dott. Trovò - era solo quello di confrontarci serenamente, capire se vi fossero o meno delle responsabilità sull'inquinamento e, se sì, da parte di chi. Cogliamo dunque con rammarico il fatto che Miteni, che la nostra lettera l'ha certamente ricevuta e da tempo, si sottragga a questo confronto e non abbia ritenuto di inviarci alcun cenno di riscontro: dopo quasi due mesi non solo non ci è mai stata proposta una possibile data per quest'appuntamento, ma non c'è stata data neanche alcuna risposta. Un silenzio per certi versi "assordante", che ci fa pensare e preoccupare ancora di più: in genere, chi tace, acconsente".