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Giovedì, 28 Marzo 2024
Cronaca Borgo Roma / Piazzale Ludovico Antonio Scuro

Resta ai domiciliari l'infermiera indagata per aver dato morfina a un neonato

Dopo la scarcerazione, il suo avvocato aveva chiesto la revoca o la modifica della misura cautelare. Ma il giudice per le indagini preliminari l'ha respinta

Rimane fuori dal carcere ma ancora agli arresti domiciliari, Federica Vecchini, l'infermiera indagata per lesioni gravissime e cessione di sostanza stupefacente. La donna di 43 anni è accusata di aver somministrato morfina ad un neonato lo scorso mese di marzo e per questo era stata rinchiusa nel carcere di Montorio. Dopo essere stata scarcerata, il suo avvocato difensore aveva chiesto anche che le venissero revocati oppure modificati anche gli arresti domiciliari. Ma, come scrive Fabiana Marcolini su L'Arena, il giudice per le indagini preliminari ha rigettato la richiesta, confermando la misura cautelare.

Federica Vecchini si è dichiarata estranea ai fatti, ribadendolo anche durante l'interrogatorio in carcere da cui poi è scaturita la decisione di concederle gli arresti domiciliari.

Secondo la tesi dell'accusa, la donna avrebbe somministrato morfina tramite un ciuccio al neonato per farlo smettere di piangere. La dose però rischiava di essere letale perché il piccolo è andato in arresto respiratorio. A salvarlo è stato proprio l'intervento della stessa infermiera che ha consigliato con grande sicurezza di somministrare un farmaco capace di contrastare gli oppiacei come la morfina. È stata proprio questa sicurezza ad insospettire medici e colleghi, tanto da ritenere che lei sapesse che il bimbo era in crisi a causa della morfina poiché probabilmente lei stessa ne aveva somministrato una dose precedentemente al piccolo. All'indagine interna all'ospedale di Verona è seguita poi quella della polizia che ha ritenuto di aver raccolto materiale sufficente per incriminare la 43enne veronese.

La tesi dell'accusa però è stata ribattuta dalla difesa. L'avvocato di Federica Vecchini ha ricordato che il contatto tra la donna e il bambino è avvenuto diverse ore prima della crisi respiratoria. Inoltre, la sicurezza dimostrata dall'infermiera sarebbe il frutto dalla sua lunga esperienza professionale, sempre secondo la difesa.

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