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Coronavirus: «Aiutare i medici ad aiutare», operatori sanitari e disturbo post-traumatico da stress

Intervento sull'attuale emergenza da parte del dottor Stefano Ira, psicologo-psicoterapeuta, specialista in psicoterapia breve strategica e in ipnosi e psicoterapia ericksoniana, coach e ricercatore

In questo momento l'Italia è in ginocchio per colpa di un nemico invisibile che ci ha messo sotto scacco, obbligandoci alla quarantena. Per la prima volta nella storia, abbiamo dovuto cambiare tutte le nostre abitudini, limitando la nostra libertà. Questo isolamento necessario ci ha fatto perdere la sensazione di controllo sulla nostra vita, provocando in molti un forte senso di angoscia.

Come possiamo affrontare la quarantena sfuggendo alla paura?

Qualche risposto l'ha data il dottor Stefano Ira, psicologo-psicoterapeuta, specialista in psicoterapia breve strategica e in ipnosi e psicoterapia ericksoniana e coach. Ira è anche ricercatore associato e psicoterapeuta ufficiale del Centro di Terapia Strategica diretto dal professor Giorgio Nardone. 

Quali difficoltà mostrano i suoi pazienti in questo momento?

Oggi, alle difficoltà personali di ciascun paziente, si aggiungono quelle derivanti dall’emergenza Covid-19. In seguito alla chiusura di molte attività commerciali si collocano difficoltà economiche, sia per i lavoratori che per gli imprenditori, angoscia derivante dal fatto che si è stati infettati dal virus o che lo è stato qualche familiare o amico di famiglia (e che non si ha nessun potere contro questo virus), frustrazione per il fatto di dovere restare chiusi in casa e non potere svolgere le normali attività quotidiane. Tutto questo provoca un aumento della sensazione di perdita di controllo. L’angoscia produce una sensazione di peso sul petto che quasi toglie il fiato a differenza dell’ansia che rende la persona esagitata.
Si consideri poi la perdita delle relazioni tra colleghi dato che che la maggior parte dei lavoratori non a contatto col pubblico lavora in smart-working, ossia con collegamento remoto da casa ed anche la maggior parte delle mie terapie (circa il 95%) si svolge oggi in modalità online. Tanti dei miei pazienti non viene più in studio, ma preferisce la videoterapia perchè ha paura del contagio, per sé e per i propri cari.

Molta gente sembra affetta da psicosi, in coda al supermercato si ha paura a tossire, ma cosa rende la psicosi da coronavirus così frustrante?

Mi permetta una rettifica: in realtà non si tratta di psicosi, ma di un allarme collettivo, che spesso sconfina in comportamenti incontrollati. 
E la spiegazione di tutto ciò è da ricercarsi nel fatto di non avere certezze; detto ancora meglio: di non averne il controllo.  È un virus nuovo, per il quale non si dispone di un vaccino e di una cura certa, inizialmente sembrava potesse essere letale solo in persone con età avanzata e con complicanze sanitarie pregresse, mentre i recenti fatti di cronaca evidenziano che non sempre è così.
E allora, in una società, quella di oggi, nella quale si vorrebbe tenere sotto controllo  tutto, anche l’incontrollabile, dove dalla mia esperienza clinica sono in costante aumento le psicopatologie legate al controllo (quali disturbo ossessivo, ossessivo-compulsivo, dubbio patologico, attacchi di panico), è chiaro che non avere gestione della situazione attuale può portare a comportamenti  di ricerca ossessiva del controllo da parte delle persone che rischiano paradossalmente di perderlo. E allora anche un colpo di tosse o uno starnuto potrebbe essere visto come il presunto stigma di un apparente untore.

 C'è più paura del contagio o della privazione della libertà ? 

Di entrambi. E la motivazione è presto detta: perché entrambi costituiscono una perdita di controllo. Non sapere se il tuo vicino di casa, se la persona che è dietro di te alla cassa del supermercato è infetta o meno e può quindi contagiarti genera una perdita di controllo a cui le persone rispondono, chi più chi meno, con dei comportamenti noti a chi fa il mio mestiere. Lo stesso vale per la privazione della libertà che è perdita di controllo per definizione. Oggi non si è per nulla abituati a non potere circolare liberamente. Pensi a quando sono state chiuse le scuole e molti si sono precipitati in massa prendendo d’assalto le piste da sci: era chiaro, credo, che se vengono chiuse le scuole un motivo molto serio c’è, no? (ho 41 anni e a mia memoria è la prima volta che succede). Eppure tanti hanno cominciato a capire la severità della vicenda solo dopo, perché? Perché nessuno ci sta ad essere privato della propria libertà personale, tant’è che anche nell’attuale codice penale essa è considerata la pena più grave che possa essere comminata.

Quali consigli per allentare la tensione?

Suggerisco di vedere questo fermo forzato come un’opportunità per fare ciò che ordinariamente, presi dalla frenesia della vita quotidiana, non si fa. Per esempio per stare vicini alle persone care, riscoprire la bellezza di raccontare una favola a vostro figlio, prendersi del tempo da dedicare al proprio partner e per prendersi cura di sé stessi. Quest’ultima cosa viene definita come: gesti di sano egoismo quotidiano. In termini operativi potrebbe voler dire: dedicarsi alla lettura di un libro, di un hobby e, perché no, della propria spiritualità. Il tempo è la risorsa più preziosa che ciascun essere umano ha, e quando esso viene dedicato a una certa attività, non torna più indietro, è andato via per sempre. Suggerirei dunque, compatibilmente con le direttive vigenti in tema di mobilità, di dedicare del tempo alle persone o alle attività che si reputano preziose. 

 C'è qualche esercizio che ci consiglia per frenare la paura?

C’è tanta paura e ansia tra la gente, questo è vero. Il meccanismo che sta alla base dell’ansia, è un meccanismo fisiologico, che attiva l’organismo a reagire di fronte a una minaccia. Si tratta quindi di un meccanismo che, entro una determinata soglia è adattivo, oltre, invece, diventa disadattivo e la persona comincia a reagire in maniera inadeguata, arrivando all’impotenza: la persona è perciò frustrata, si butta giù, si arrende, si sente incapace, sente di non avere gli strumenti giusti per fronteggiare ciò che gli accade, si sente soccombere e dunque ciò che si origina non è ansia, ma angoscia. Ci si sente angosciati, per esempio, quando si pensa al fatto che la scienza non è al momento in grado di fornirci risposte precise per risolvere l’emergenza sanitaria attuale. L’angoscia deprime, perché la persona non è in grado di controllare l’incontrollabile: ci prova attraverso una serie di precauzioni rispetto alla paura di potere essere contagiati, che però non rassicurano fino in fondo. Ora, ciò che possono fare le persone, da sole, è resistere, distrarsi, impegnarsi in qualcosa che possa fare dirigere lì l’attenzione. Tutto questo è sufficiente qualora la sintomatologia si attesti al di sotto della soglia di tollerabilità. Qualora invece si superasse tale livello, si consideri che esistono delle manovre terapeutiche specifiche, che sono di pertinenza dello psicoterapeuta e dunque il suggerimento in questi casi è quello di rivolgersi a uno specialista.

E la salute psichica dei medici e del personale sanitario è minacciata in questo momento?

Si dovrà accendere un grande riflettore, da un punto di vista psicoterapico, su tutti gli operatori sanitari, uomini e donne eccezionali che spesso sono sottoposti anche a causa dell’emergenza di questo virus a turni di lavoro massacranti e che, per la particolarità dell’emergenza sanitaria in atto rischiano di essere vittime di un Dpts, ossia di un disturbo post traumatico da stress. Si tratta di una patologia che per la prima volta è stata studiata nei soldati e nel personale sanitario di guerra, ed è tipico di coloro che sono sottoposti a situazioni emotive particolarmente stressanti dove viene messa a repentaglio la vita propria o delle persone vicine o che si assistono. Molti operatori sanitari potranno uscire fuori da questo periodo di emergenza ancora più forti, ma coloro che non sono in grado di sopportare una emotività così marcata e che non hanno delle strategie di coping adeguate, rischiano di uscirne a brandelli. Oggi la pressione più forte è soprattutto per chi lavora nelle terapie intensive: la tipologia di lavoro e i turni senza tregua possono portare a un crollo emotivo. Da qui si evince l’importanza del supporto psicologico al personale sanitario in prima linea, che va svolto nell’immediato e non dopo la richiesta di aiuto da parte degli operatori stessi, perché, in quest’ultimo caso potrebbe essere già tardi, nel senso che, ragionevolmente, si sarebbero già strutturate delle psicopatologie più importanti. È invece fondamentale a questo proposito la prevenzione di tali situazioni: i medici e tutto il personale paramedico vanno cioè aiutati ad aiutare.

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