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Da 21 a 24, saranno il fulcro delle attività socio-assistenziali. Veneto riforma gli Ats

Voto favorevole del consiglio regionale dopo diverse correzioni da parte di maggioranza e opposizioni. Lanzarin: «Si crea rete virtuosa, dalla quale ci aspettiamo efficienza, efficacia e risposte diffuse ai bisogni della gente»

Dopo l'approfondito dibattito di martedì scorso, 26 marzo, ieri il consiglio regionale del Veneto ha accolto una serie di emendamenti e ordini del giorno ed ha approvato con 35 voti favorevoli e 9 astenuti la legge che riorganizza gli interventi e i servizi sociali. Una riforma che riconosce gli Ats (Ambiti Territoriali Sociali) come fulcro di programmazione, pianificazione, coordinamento e gestione della funzione socio-assistenziale della Regione. «Gli Ats diventano il contesto nel quale sarà sviluppata la gestione associata dei servizi sociali - ha commentato l'assessora regionale alle politiche sociali Manuela Lanzarin - La loro visione complessiva ora sarà su un territorio vasto rispetto a quello del singolo Comune. È stato fatto un buon lavoro e la Regione Veneto oggi è la prima a normare l’organizzazione dei servizi sociali territoriali, dopo la definizione dei livelli essenziali delle prestazioni sociali, e a declinarla con gli Ats, indicando in maniera esplicita la soluzione di un ente terzo dotato di personalità giuridica come soluzione capace di costruire servizi di qualità proprio a partire dall’investimento sulla stabilità e le competenze del personale addetto. La logica di un ente terzo fatto dai comuni associati e dedicato agli interventi sociali consentirà la messa a fattor comune delle risorse oggi frammentate e scarse presenti sul territorio, a supporto di una programmazione capace di fare le giuste economie di scala e di dialogare alla pari per l’integrazione con il mondo sanitario e le Ulss, con quello del lavoro e della scuola. A ben vedere tutti dialoghi che richiedono una dimensione sovracomunale e che richiedono una organizzazione stabile».

Il numero degli Ats aumenta e passa da 21 a 24 ambiti, così come richiesto da grandi capoluoghi come Verona e Padova. «Avremo in generale più accessibilità, più trasparenza, più omogeneità nelle prestazioni socio-assistenziali - ha aggiunto Lanzarin - E importante è anche la dotazione finanziaria, 5,5 milioni, per dare avvio a queste infrastrutture sociali. Gestire la pianificazione associata delle politiche sociali è la sfida alla quale i territori saranno accompagnati dalla Regione, in quanto solo attraverso la pianificazione associata intercomunale sarà possibile dare risposte di qualità ed uniformi ai cittadini, ed in questo percorso tutti i comuni saranno protagonisti e partecipi del cambiamento. Si crea una rete virtuosa, dalla quale ci aspettiamo efficienza, efficacia, risposte diffuse ai bisogni della gente».

«Con questa legge riformiamo in maniera epocale il sistema dei servizi sociali e assistenziali del Veneto, già storicamente tra i migliori a livello nazionale. Parliamo di una riforma che permetterà anche di recepire e utilizzare al meglio i fondi europei. In tema di risorse per il territorio e i cittadini, la Regione Veneto confermerà ancora una volta la sua capacità di rispondere agli impegni presi». Così il consigliere regionale veronese di Fratelli d'Italia Daniele Polato ha commentato la riforma degli Ambiti territoriali sociali, i quali generando un’aggregazione tra Comuni diventeranno punto di riferimento per i cittadini. E, secondo Polato, «la riforma degli Ats rappresenta un’opportunità storica per lo sviluppo dell’intero sistema integrato dei servizi sociali a disposizione dei cittadini veneti».

Prima dell'approvazione, comunque, diversi sono stati gli emendamenti presentati sia dalla maggioranza che dalle opposizioni. Tra le varie modifiche, Forza Italia ha sottolineato quella che concede la facoltà di continuare ad avvalersi della forma convenzionata tra Comuni associati, senza passare obbligatoriamente alla forma giuridica dell’azienda speciale o del consorzio. I consiglieri Alberto Bozza e Fabrizio Boron hanno spiegato: «Ha vinto la linea del buon senso e la linea politica di ascolto del territorio. Così diamo continuità nella prestazione dei servizi sociali, con maggiore flessibilità e costi più contenuti, mantenendo ottimi livelli di efficienza ed efficacia».

E anche le minoranze hanno evidenziato il loro contributo di modifica alla riforma. Elena Ostanel de Il Veneto che Vogliamo ha commentato: «La preoccupazione maggiore e che avrebbe avuto un impatto sui lavoratori del settore socio-assistenziale e sul servizio al cittadino era la necessità che gli Ats restassero a gestione pubblica: grazie ad un nostro emendamento siamo riusciti a far mettere nero su bianco il divieto di trasformare le Ats in società di capitali, a tutela, almeno nel servizio sociale, della sanità pubblica».
«Abbiamo evitato il peggio - ha aggiunto Erika Baldin, consigliera del Movimento 5 Stelle - Abbiamo ottenuto che siano sentite le organizzazioni sindacali nei passaggi chiave della formazione dei nuovi Ats e della riorganizzazione dei servizi, come l'istituzione della Rete regionale per la gestione associata e l'inclusione sociale».
Mentre Chiara Luisetto, consigliera del Partito Democratico, ha evidenziato quei punti ritenuti critici: «La legge rappresenta un'occasione mancata per avviare un'organica riorganizzazione dei servizi sociali nel territorio regionale. I fondi destinati agli Ats sono troppo esigui, con il rischio che i costi ricadano sulle spalle degli enti locali. Le dimensioni degli ambiti restano non uniformi: la maggior parte di questi sono sovradimensionati, mentre altri si ritrovano al di sotto della soglia prevista dei 100mila abitanti. Risultano infine vaghe le garanzie per il mantenimento dell’integrazione socio-sanitaria. E rimaniamo inoltre perplessi sulle garanzie date al personale: non è chiara con quale tipologia contrattuale sarà reclutato il personale destinato agli Ats e tantomeno su chi ricadrà l’onere di queste assunzioni». Ed il consigliere Arturo Lorenzoni ha riferito alcune preoccupazioni manifestate dai sindaci: «Sono preoccupati per un’indeterminatezza del confine tra i servizi sanitari, di competenza delle Ulss, e quelli sociali, di competenza degli Ats. Il rischio è che si crei una sorta di terra di nessuno, con necessità socio-sanitarie inevase: questo, naturalmente, non può accadere».

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