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Inquinamento da Pfas: chiesta la sospensione delle attività della Miteni

Dopo giorni di polemiche con gli interventi della consigliera Cristina Guarda, Greenpeace e della stessa azienda di Trissino, è arrivata la richiesta di avvio del procedimento da parte del Comitato Tecnico istituito dalla Regione Veneto

Il caso di inquinamento da Pfas scoppiato da tempo in Veneto, continua ad essere al centro della discussione sui tavoli regionali, con la Miteni (l'azienda di Trissino ritenuta da più parti la principale fonte di contaminazione) sempre più nell'occhio del ciclone e destinataria finale della richiesta di sospensione degli impianti, avanzata oggi, 13 luglio, dalla commissione tecnica regionale.

Tra controlli in ritardo, probabili omissioni e scaricabarili, resta la responsabilità di un’azienda su un caso di inquinamento che non ha paragoni in Italia e in Europa. 

È quanto ha affermato Cristina Guarda, consigliera regionale della Lista AMP, l'11 luglio dopo le notizie dei giorni precedenti sulla presenza di un’ulteriore sostanza, il GenX, nella falda e quella sulla fuga di notizie.

Secondo quanto dichiarato da Arpav, non sarebbe riuscita a concludere le analisi finali in merito alla presenza di questo nuovo componente chimico a causa della fuga di notizie. Quando la scorsa settimana, gli incaricati dell’Agenzia per la protezione ambientale si sono recati a Trissino per completare le verifiche hanno trovato le lavorazioni ferme e gli impianti puliti, il che impedisce in parte di capire come il GenX sia finito a contaminare la falda acquifera. Miteni infatti ha l'autorizzazione, ora sospesa grazie alla Provincia, per lavorare un ‘rifiuto’ industriale per un'azienda olandese: dovrebbe trattarsi, ma il condizionale è d’obbligo, di un circuito chiuso per la rigenerazione del GenX.
Non è tuttavia possibile continuare a lavorare così, con un’azienda accusata di un gravissimo atto di inquinamento che ha messo a rischio persone, ambiente, coltivazioni e i doverosi controlli che arrivano sempre e comunque in ritardo. Inoltre, e purtroppo, vedo la stessa azienda trattata dalla Regione alla stregua di qualsiasi altra ( ricordo, per esempio, l’autorizzazione di un impianto di cogenerazione che, con il collega Zanoni, criticavamo ancora un anno fa) nonostante si confermi costantemente inaffidabile nel lavorare su una zona di ricarica della falda.

Dal canto suo l'azienda vicentina ha replicato con una nota nella quale analizza l'utilizzo dei dati Pfos sul suo nazionale nel 2017. 

Secondo i dati ISTAT del 2017 in Italia sono state importate oltre166 tonnellate di PFOS puro e altre 94 tonnellate di miscele contenenti PFOS per un totale che supera le 255 tonnellate.
Anche le schiume antincendio contengono importanti quantitativi di PFOS, schiume utilizzate in caso di incidente e di esercitazioni.
Fino a pochi anni fa il PFOS veniva utilizzato anche nell’'industria tessile e delle pelli. Il caso più celebre è quello dello Scotchgard, prodotto di punta di 3M utilizzato nella conceria Wolverine di Rockford nel Michigan che da sola ha prodotto livelli di PFOS e PFOA nelle acque più elevati di quelli registrati nel vicentino.
Si completa così un quadro che giustifica le dimensioni dell'inquinamento ambientale del territorio che ha subito e subisce la pressione di migliaia di tonnellate di sostanze fluorurate utilizzate nelle industrie locali.
Già nel 2013 sul notiziario dell'Istituto superiore di sanità si leggeva: "L'ampia produzione di sostanze fluorurate in forma polimerica o come alcool fluorotelomerici, poliesteri o polieteri, sta determinando la progressiva formazione di una riserva ambientale, da cui possono generare quali prodotti di degradazione le sostanze perfluoroalchiliche. Queste si trasferiscono alle catene trofiche e, in ultimo, all’essere umano, soprattutto attraverso la via alimentare". E' incomprensibile che a fronte di questa conoscenza e delle migliaia di tonnellate di sostanze utilizzate dalle industrie del territorio in 50 anni, ancora oggi molte molecole che diventano PFAS in ambiente nemmeno vengano misurate e ci si sia concentrati solo su Miteni che queste sostanze non le ha mai nemmeno prodotte.

Ma le bordate contro la Miteni arrivano anche da Greenpeace, che mette nel mirino anche l'operato della Regione Veneto. L'associazione infatti afferma che in base a dei documenti in suo possesso, l'azienda di Trissino, dopo aver ottenuto proprio dalla Regione "l’autorizzazione a trattare rifiuti chimici pericolosi, ha ricevuto ogni anno dall’Olanda, e nello specifico dall’azienda chimica Du Pont (oggi Chemours), quantitativi accertati fino a 100 tonnellate annue di rifiuti chimici pericolosi (codice CER 07 02 01) contenenti il GenX (acido 2,3,3,3-tetrafluoro-2(eptafluoropropossi)-propanoico). Una sostanza che, oltre ad essere persistente e di difficile degradazione, è classificata come potenzialmente cancerogena, e con possibili effetti negativi anche sul fegato che si manifestano agli stessi livelli di concentrazione del PFOA".
"Dalla consultazione dei documenti si evince che la Miteni non è stato imposto alcun limite allo sversamento del GenX, rendendo del tutto inefficace l'Autorizzazione Integrata Ambientale concessa nel 2014 per impedire tale contaminazione. È quanto emerge dal rapporto Sette scomode verità sul GenX", con cui l’organizzazione ambientalista diffonde gli elementi in proprio possesso "per provare a chiarire meglio alcune questioni legate al GenX e alla contaminazione da questa sostanza accertata recentemente da ARPAV nelle falde acquifere del vicentino e in aree vicine al sito produttivo di Miteni".

È paradossale che ad un’azienda già nota come fonte principale dell’inquinamento da PFAS venga deliberatamente concessa dalle autorità regionali, con negligenza e leggerezza, la possibilità di smaltire rifiuti chimici pericolosi senza inserire alcun tipo di limite allo scarico del GenX, e dal cui trattamento vengono generati enormi quantitativi di rifiuti - dichiara Giuseppe Ungherese, responsabile della Campagna inquinamento di Greenpeace Italia -. Quantitativi che un territorio già gravemente colpito da uno dei fenomeni d’inquinamento ambientale più importanti d’Europa avrebbe sicuramente voluto e dovuto evitare.

"Il processo di trattamento di rifiuti nel sito di Miteni - prosegue la nota dell'associazione - avrebbe una resa estremamente bassa e inferiore al venti per cento. Infatti, dalla consultazione del bilancio di massa del processo, redatto da Miteni stessa ad ottobre 2013, emerge che delle 119 tonnellate che l’azienda è stata autorizzata a trattare su base annuale, vengano recuperate solo 17 tonnellate di tensioattivo GenX. Quello che resta delle 119 tonnellate sono principalmente rifiuti in forma di acque reflue inviate all’impianto consortile gestito da AVS (Alto Vicentino Servizi).
Sulla base di dati ufficiali del National Institute of Public Health and the Environment olandese (RIVM), secondo cui il GenX è tutt’altro che privo di rischi per l’ambiente e per la salute, ad inizio 2018 le autorità della Carolina del Nord hanno fermato gli sversamenti di GenX nelle acque superficiali dello Stato statunitense mentre in Olanda, già a partire dal 2017, le autorità locali hanno ridotto di circa un terzo le emissioni consentite di GenX per l’azienda chimica olandese (da 6,4 a 2,03 tonnellate annue). Inoltre, consultando dati di letteratura scientifica, al GenX possono essere associati altri composti pertanto potrebbe non essere l’unico tipo di PFAS sversato nell’ambiente da Miteni a causa del trattamento del rifiuto olandese".

Lo scenario che emerge evidenzia le gravi inefficienze delle autorità locali venete per proteggere un territorio e una popolazione già gravemente colpiti dall’inquinamento da PFAS - continua Ungherese -. Si tratta di quelle stesse autorità che si professano così all’avanguardia nel gestire un fenomeno di inquinamento tra i più vasti d’Europa ma che, di fatto, con le loro negligenze hanno trasformato, legalmente, parte del Veneto in una Regione dove è concesso il trattamento di rifiuti chimici pericolosi.

E proprio il 13 luglio dalla Regione è arrivata poi la richiesta di sospensione delle attività degli impianti dell'azienda. 

Il Comitato Tecnico istituito dalla Regione per supportare le Amministrazioni competenti nelle attività di bonifica del sito Miteni e nella revisione dell’Autorizzazione Integrata Ambientale della stessa ditta, nel corso della riunione del 13.07.2018 ha esaminato la situazione ambientale determinatasi a seguito dell’attività di recupero di rifiuti (GenX) esercitata da Miteni ed oggi sospesa.

Si rileva che:

  • tutte le attività di verifica e controllo relativamente alla problematica “GenX” sono state attuate dagli enti competenti nei tempi minimi necessari per garantire la tutela dell’ambiente. ARPAV ha, ancora una volta, dimostrato efficienza nel mettere a punto metodiche analitiche (oggi sconosciute) per misurare il composto GenX;
  • le attività di monitoraggio attuate da ARPAV nel periodo Maggio - Luglio e tuttora in corso sulle acque sotterranee, ad oggi non evidenziano la necessità di adottare provvedimenti collegati alla presenza di queste sostanze nelle aree di captazione delle acque ad uso idropotabile, essendo circoscritta (la presenza di GenX) all’intorno del sito Miteni.

Si è convenuto sulla necessità che la Provincia di Vicenza emani formale diffida nei confronti di Miteni ad eseguire (entro 30 giorni dalla data della diffida stessa) le verifiche sulla tenuta/funzionalità di tutti gli impianti presenti nel sito Miteni. Obiettivo di tali verifiche è l’accertamento di eventuali fuoriuscite di prodotti dalla ditta che possono contaminare la falda.
Le verifiche di cui sopra dovranno essere eseguite in contradditorio da ARPAV e con i tecnici competenti del Comitato Tecnico Regionale, che svolge la propria attività nell’ambito della Direttiva “Seveso”.
In caso di inadempienza da parte della ditta Miteni saranno adottati i provvedimenti previsti dalla normativa AIA (revoca dell’autorizzazione).

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